Sfruttati, mortificati, mal pagati, senza una rete di protezione sociale e risparmi a cui attingere, con un futuro previdenziale da incubo. Sono i lavoratori che durante il lockdown hanno visto crollare all’improvviso il loro reddito andando a ingrossare la sacca di povertà assoluta. Sono loro gli acrobati della povertà, hanno sempre guadagnato il minimo per sbarcare il lunario, ma il lockdown li ha messi ko. E’ quanto emerge dal Focus Censis Confcooperative “Covid da acrobati della povertà a nuovi poveri. Ecco il rischio di una nuova frattura sociale”.
Lo stress test socio – economico della lockdown economy mette a dura prova il paese e apre crepe profonde in aree di fragilità già acute in fase precovid. Sono 2,1 milioni le famiglie – si legge nella nota – con almeno un componente che lavora in maniera non regolare. Ben 1.059.000 famiglie vivono esclusivamente di lavoro irregolare (sono il 4,1% sul totale delle famiglie italiane). Di queste, più di 1 su 3, vale a dire 350 mila, è composta da cittadini stranieri. Un quinto ha minori fra i propri componenti, quasi un terzo è costituita da coppie con figli, mentre 131mila famiglie possono invece contare soltanto sul lavoro non regolare dell’unico genitore.
La presenza di famiglie con solo occupati irregolari pesa al Sud dove si concentra il 44,2%, ma le percentuali che riguardano le altre ripartizioni danno conto comunque di una diffusione considerevole anche nel resto del Paese: il 20,4% nel Nord Ovest, il 21,4% nelle regioni centrali e il 14% nel Nord Est.
“Il paese vede la sua competitività ferma al palo dal 1995. Abbiamo un’occupazione più bassa della media europea. Un deficit che è cresciuto di 20 punti e un Pil che chiuderà con un rosso a due cifre sfondando il tetto del 10%. Abbiamo una geografia sociale ed economica del Paese molto sbilanciata – dice Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative – con poco meno di 23 milioni di lavoratori, oltre 16 milioni di pensionati, 10 milioni di studenti (con una formazione che non è sempre d’eccellenza) e oltre 10 milioni di poveri.
“Il problema non è il deficit, ma la capacità o meno di poterlo pagare. In merito al Recovery Fund – aggiunge – subito risorse per politiche strutturali che tendano sia alla salvaguardia dell’attuale occupazione, ma soprattutto alla creazione di nuovo lavoro. Solo rilanciando innovazione, competitività e occupazione potremo far fronte ai debiti che abbiamo contratto, ridurre le diseguaglianze e costruire un modello di Paese più equo, più sostenibile.”
La povertà pre – Covid. Nel 2019 le persone in povertà assoluta erano 4,6 milioni, di cui il 40,5% residente nelle regioni settentrionali e il 45,1% nel Mezzogiorno. Tra gli individui assolutamente poveri, 1 su 4 erano minori (un esercito da 1,14 milioni di persone), mentre gli stranieri quasi 1 su 3 (1,4 milioni). Le persone senza fissa dimora erano stimate in 112mila, ma l’area dell’indigenza che faceva ricorso agli aiuti alimentari arrivava a comprendere 2 milioni e 700mila persone.