Il recente decreto rilancio, composto da ben 256 articoli e di portata storica rispetto al valore delle nostre manovre finanziarie, vista la sua mole e il suo impatto, è sotto i riflettori per capirne i reali effetti, le virtù e i difetti al fine di affrontare la grave emergenza sociale e economica scaturita dal Covid 19. Facciamo il punto anche sul decreto liquidità con un autorevole economista, Mario Musitlli, professore ordinario presso il Dipartimento di Studi Aziendali ed Economici dell’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli.
Professore Mustilli, partiamo da una valutazione generale su un provvedimento storico per l’Italia dal punto di vista degli importi, ossia 55 miliardi di euro e composta da ben 256 articoli. La gestazione è stata lunga e si è dovuto cambiare nome in corso d’opera. Il risultato finale qual è stato?
In primo luogo va ammesso che in un paio di mesi è stata messa punto una manovra che vale almeno due leggi finanziarie recenti. Inoltre, si dovevano immaginare interventi che abbracciavamo l’intero sistema economico del Paese con normative diverse che si intrecciavano tra loro. E’ stato uno sforzo non di poco conto che secondo me aveva due filosofie: da una parte, continuare sugli interventi di emergenza (un esempio è rappresentato dal credito di imposta sugli affitti o dal rafforzamento della CIG) e, dall’altra, immaginare una serie di interventi che avessero come obiettivo il rilancio strutturale del sistema produttivo (come nel caso degli strumenti finanziari innovativi ipotizzati). Inoltre, tenuto conto dell’impatto drammatico della crisi, era necessario proseguire sulla strada del coinvolgimento di risorse esterne al bilancio dello Stato attraverso stimoli di tipo “pubblico” per ampliare il raggio di azione della manovra che non poteva basarsi solo su risorse dirette pubbliche. Si è ottenuta una strumentazione indubbiamente complessa che ancora non possiede al suo interno interventi più sistematici, soprattutto facendo riferimento ad alcuni settori produttivi colpiti più di altri, e che potrà essere migliorata in fase di attuazione attraverso normative attuative che rendano il percorso più lineare soprattutto nei tempi di operatività. Tuttavia, se sommiamo le risorse del Decreto Rilancio con quelle del Decreto di Liquidità il potenziale che ne deriva è molto rilevante. Da alcuni ambienti si è sollevato il dubbio che il Decreto dovesse occuparsi anche di semplificazione dell’apparato burocratico del Paese. Questa speranza a mio parere era illusoria. Fermo rimanendo che qualcosa è stato fatto – si pensi ad alcune norme attinenti il regime delle autocertificazioni che si applicano si alla fase emergenziale ma che troveranno spazio anche in chiave strutturale (anche in termini di regime sanzionatorio) – sarebbe stato difficile risolvere in pochi mesi una questione che tocca il Paese da decenni. A normative complesse si somma un apparato burocratico complesso che di certo non poteva essere smantellato in così poco tempo. Tuttavia, è noto che il governo si è impegnato a legiferare in tal senso. Il problema della burocrazia è indubbiamente il problema centrale del paese e senza la sua soluzione procederemo con tempi non coerenti a questa crisi sulla strada dell’impiego di tanti fondi che giacciono nelle casse di Stato e Regioni. Da ultimo non va dimenticato il piano europeo. E’ molto probabile che molti degli interventi sulle economia troveranno un rafforzamento anche alla luce dei provvedimenti che negli ultimi giorni sono stati elaborati a Bruxelles. In sintesi un decreto che potrà trovare nel futuro breve miglioramenti ed integrazioni.
In generale, 25 miliardi andranno al lavoro (di cui 16 miliardi per la cassa integrazione e 4,5 miliardi per le indennità degli autonomi) e 15 miliardi alle imprese, dove sono previste varie misure tra cui il taglio dell’Irap e risorse a fondo perduto per chi dimostrerà di aver perso il 30 per cento del fatturato. Quali i punti più qualificanti del decreto e quali i meno utili?
Farei attenzione ai numeri. Come è noto il dibattito di recente si è concentrato sulla distinzione tra saldo netto ed indebitamento netto. Bene ha fatto il governo a precisare che il dato dei 55 miliardi non si riferisce ad interventi come le garanzie pubbliche dello Stato che hanno a che fare con il secondo indicatore di bilancio. In questo caso salirebbe ad importi pari ad almeno tre volte l’importo in questione. In secondo luogo non va dimenticato quanto detto innanzi. Gli obiettivi erano due: misure anti emergenziali e di sostegno al reddito degli italiani, come nel caso della CIG o dei bonus degli autonomi, e misure di rilancio del sistema produttivo. Anche nel caso del fondo perduto per le imprese sino a 5 milioni siamo nel campo delle misure contro l’emergenza. Diversi è il tema degli strumenti finanziari con particolare riferimento al Fondo affidato alla Cassa Depositi e Prestiti e quello affidato ad Invitalia. Come è noto il primo, stimato in 44 miliardi, si alimenterà con emissioni di titoli pubblici e della stessa Cdp e si occuperà del potenziamento del capitale di imprese con oltre 50 milioni di fatturato; il secondo invece sarà indirizzato alla sottoscrizione di strumenti finanziari, compresi i bond, in una logica di pari passucon interventi di capitale messi a punto dagli imprenditori e per imprese tra 5 e 50 milioni di euro di fatturato. E’ chiaro che l’obiettivo perseguito della crescita dimensionale delle imprese attraverso la maggiore capitalizzazione mi sembra del tutto condivisibile soprattutto in presenza degli impatti che la normativa di Basilea ha prodotto sul sistema bancario italiano. Avrei immaginato invece un maggior sforzo in tema di venture capital, per facilitare la diffusione delle innovazioni nel sistema degli sforzi combinati ricerca/impresa. Sul piano fiscale l’intervento su Irap mi sembra di piccolo impatto, sebbene utile. Interessante invece è l’uso del credito di imposta diffuso che tende a monetizzare in tempi più brevi le agevolazioni fiscali previste e gli interventi sugli ecobonus a sostegno dell’edilizia. Forse si sarebbe dovuto immaginare un maggior uso della leva fiscale soprattutto per alcune aree del Paese: avrebbe avuto l’effetto di attirare più capitali per investimenti soprattutto per quelle imprese che non hanno interesse ad utilizzare gli strumenti finanziari di natura pubblica prima illustrati.
Come sappiamo ci sono alcuni settori che sono stati travolti dall’emergenza epidemica più di altri. Tra questi il settore strategico del turismo che vale il 13 per cento del Pil nazionale. Il decreto rilancio destina al turismo la quota più rilevante, ossia 5 miliardi di cui la metà per finanziare il bonus vacanze fino a 500 euro per redditi (Isee) fino a 40mila euro. Molti operatori del settore sono scettici sull’incentivo che prevede tra l’altro l’anticipo dell’80 per cento da parte degli operatori. In Francia il Governo ha annunciato un grande piano da 18 miliardi per il turismo che li vale il 7 per cento del pil. Ci siamo dimenticati del settore auto e del suo enorme indotto. E di pochi giorni fa la notizia della Renault che ha annunciato il taglio di 15mila posti di lavoro, 4.600 solo in Francia. Ricordiamo che lo Stato è azionista del gruppo con il 15%. In Italia, invece, è scoppiata la polemica per la richiesta di prestito di FCA sulla base delle garanzie Decreto Liquidità mentre il Decreto rilancio non ha previsto risorse per l’automotive, che ricordiamo muove 1,6 milioni di lavoratori, ma solo bonus per monpattini e bicilcette. C’è un sentimento anti-industriale?
Come osservato innanzi, nel Decreto manca una logica strategica di tipo verticale. Gli strumenti previsti sono riservati generalmente all’intero settore produttivo. Nella realtà, invece, a settori colpiti come il turismo, l’automotive, l’abbigliamento si sommano settori che invece hanno visto accrescere le loro attività. Penso ad alcuni settori del comparto alimentare come il conserviero o all’industria del farmaco. Per quanto riguarda il settore turistico è probabile che si stiano individuando alcuni interventi alla luce di una valutazione più attendibile del fenomeno. In primo luogo, il settore interessa non solo la parte privata ma anche la parte pubblica con riferimento ai beni culturali. Inoltre, va risolto il problema dei confini per immaginare in che termini i flussi internazionali saranno influenzati dalla crisi nel breve termine. Da ultimo va capita la questione delle iniziative di minore dimensione. Si tratta infatti di capire piccoli b&b, piccoli ristoranti, piccoli mezzi di trasporto per turisti che prospettive avranno se permarranno le scelte di distanziamento sociale. Se dovessero i provvedimenti sanitari rimanere quelli di oggi sarebbe infatti difficile immaginare una prospettiva reale per tali imprese al di là dei provvedimenti che un governo può mettere a punto. Non bisogna infine dimenticare che un intervento complessivo sul settore si potrà beneficiare dei fondi ipotizzati dal React Ue che è uno dei tre sub fondi previsti dal Recovery Fund, per importo di 55 mld destinato al turismo ed ai beni culturali che in gran parte potrà essere indirizzati verso paesi come l ‘Italia. Circa l’automotive va detto che gli operatori sono talmente grandi che mi auguro che dei loro problemi potranno occuparsi i mercati finanziari mentre invece bisogna lavorare per salvaguardare le competenze industriali della filiera. Gli strumenti finanziari discussi in precedenza possono essere una soluzione per queste imprese. Anche in tal senso va rimarcato ciò che si è detto in precedenza: per completare gli interventi vanno immaginato delle politiche industriali per i settori più colpiti. Condivido le preoccupazioni relative ad alcuni microinterventi. Ovviamente bisognerà vedere tali interventi sul campo dei decreti attuativi. Tuttavia sul piano politico si può capire l’esigenza di incominciare per esempio a dare una risposta iniziale al disastro dei trasporti cittadini nel tempo del distanziamento con gli incentivi all’acquisto delle bici elettriche.
C’è poi tutto il tema dei decreti attuativi, che se non sbaglio dovranno essere circa 90.
Vero. Come si è detto questa è la vera sfida. Spero sia stata compresa la lezione del decreto Liquidità. Se era necessario come è necessario coinvolgere anche le risorse del sistema bancario, i decreti attuativi non solo dovranno preoccuparsi di essere agili all’interno dello Stato ma anche di semplificare per norma l’operare degli attori all’esterno di esso. In questo è una riforma del sistema Italia nel suo complesso.
Il decreto liquidità come sta proseguendo? Sappiamo che le banche in parte stanno frenando e rispetto ai prestiti sopra i 25mila euro alla fine la garanzia avrà un effetto minimo. E’ cosi?
I dati del Mef ci dicono che sono stati presentate circa 400.000 domande per un totale di 18,5 miliardi. All’interno di tale dato, la domande relative ai famosi 25.000 euro sono circa 360.000 per un importo richiesto di circa 7 miliardi. So che tempi per queste ultime si stanno accorciando mentre rimangono lunghe le procedure per gli importi al di sopra. Per quanto riguarda i dati della Sace sinora gli importi concessi superano di poco i 200 milioni di euro. Molto poco anche se la Sace ha rispettato la concessione della garanzia in 48 ore dopo la delibera della banca. I dati Mef ci dicono che sono in lavorazione oltre 250 istruttorie per circa 18,5 miliardi di euro. Aspettiamo e valuteremo in poche settimane.
Cosa si augura dal percorso parlamentare di conversione in legge dei due decreti? Dalla garanzia statale sul factoring ad altri emendamenti cosa la convince di più o di meno?
Alcune modifiche erano opportune. I 25.000 euro sono diventati 30.000 e la durata è aumentata a 10 anni. In più si stanno escludendo le responsabilità per le banche che hanno bloccato agli inizi questo finanziamenti. I tassi applicati sono sotto il 2 %. La garanzia sul factoring mi sembra molto interessante. Garantirebbe un miglior rigiro dei fondi pubblici impegnati ed adeguerebbero meglio gli interventi normativi alle specificità dei settori industriali coinvolti. Infatti non sempre la crisi ha portato problemi di fabbisogni finanziari di medio termine ma anche problemi di liquidità a breve che possono essere risolti attraverso lo smobilizzo di circolante. In più tale misura potrebbe essere un bridge rispetto ad operazioni più complesse con fondi che rientrerebbero allorchè l’impresa abbia provveduto ad ottenere finanza di natura più strutturale.