Gli stipendi italiani al nono posto della Eurozone, subito dopo Francia e Germania, che hanno però stipendi lordi e netti molto più elevati: secondo Ocse la retribuzione media italiana è stata di 29.601 euro nel 2018 ovvero minore di 10.900 euro rispetto a Germania (7° posizione) e di 8. 700 euro rispetto a Francia (8° posizione). In presenza di una tassazione elevata, ma comunque comparabile a quella tedesca e francese (47,9% in Italia contro 47,6% della Francia e 49,5% della Germania) e il reddito netto disponibile ne risulta fortemente penalizzato e così pure il potere di acquisto: fatto 100 il potere di acquisto medio a New York, l’indice del potere di acquisto locale in Italia è 77,5 quello in Francia 91,5 e quello in Germania 116,2).
Lo studio. E’ quanto emerge da un’analisi effettuata dall’ Osservatorio JobPricing, quest’anno in collaborazione con InfoJobs, che pubblica lo studio semestrale sullo stato dell’arte delle retribuzioni italiane nel settore privato. Nel 2019 l’Osservatorio JobPricing rileva che in Italia la retribuzione media lorda è stata pari a 29.235 euro (-0,1% rispetto al 2018). Stagnanti anche le retribuzioni globali annue (Ral + componenti variabili), che nel 2019 registrano un calo dello 0,8% rispetto al 2018;
La stagnazione dei salari. Dal 2015 al 2019 si è registrata complessivamente una crescita delle retribuzioni molto bassa (+1,9%). Il trend migliore, seppure modesto, è stato quello degli operai (+3,5%), mentre i dirigenti hanno addirittura registrato un andamento negativo (-2,9%). Secondo l’Ocse – emerge dallo studio – la stagnazione dei salari si spiega con un sostanziale appiattimento della produttività nel nostro Paese: fatto 100 l’indice del 2008, dopo dieci anni l’Unione nel suo complesso si attesta ad un valore di 108,2, mentre l’Italia si ferma a 101,1. Fra i grandi paesi dell’Unione (prima della Brexit) nessuno ha fatto peggio di noi, ivi comprese economie più deboli come quella spagnola. In Germania, la crescita della produttività del lavoro, superiore all’8% nell’ultimo decennio, ha visto la retribuzione per ora lavorata crescere di oltre il 24%.
I dati. Tra il 2018 e il 2019 l’inflazione è aumentata dello 0,6%mentre le retribuzioni sono rimaste al palo (-0,1%). Questo segna un’inversione di rotta rispetto all’andamento dell’ultimo quinquennio dove il modesto aumento degli stipendi era stato comunque superiore a quello dei prezzi. I dati dell’Osservatorio JobPricing confermano i dati Oil, secondo la quale la disuguaglianza nel nostro paese è crescita del 21% negli ultimi trent’anni. Un dirigente guadagna in media 4 volte un operaio, mentre la retribuzione di un Ceo (nono decile) può arrivare a 9,3 volte quella di un operaio (primo decile).
Il confronto. Rispetto alla Ral media nazionale al nord si guadagna in media il 3,6% in più, al centro lo 0,5% in meno e al Sud e nelle isole il 9,4% in meno. La classifica si inverte se si guarda ai trend: negli ultimi 5 anni sono incrementati del 4,3% per sud e isole, del 2,3% per il centro e solo dell’1,2% per il nord. La dinamica retributiva favorevole al sud e al centro, rispetto al nord, deriva soprattutto dall’andamento degli stipendi di operai e quadri (superiore al 2%). La regione dove si guadagna di più – si legge nello studio – è la Lombardia (31.446€) seguita dal Trentino Alto-Adige e dal Lazio. Le ultime posizioni del ranking sono occupate da Basilicata, Calabria e Sicilia (tutte inferiori a 25.500€). I trend migliori 2018-2019 appartengono al Friuli Venezia Giulia (+3,1%), Sicilia (+2,3%) e Molise (+2,3%). Quelli peggiori a Marche (-2,6%), Abruzzo (-1,6%) e Basilicata (-1,4%).
I percettori di welfare. Nel 2019 si registra un calo dell’11,7% rispetto al 2018 sui percettori di retribuzione variabile, tuttavia, le somme erogate crescono in media del 3,2% (+4,2% per i dirigenti; + 9,2% per i quadri; + 3,6% per gli impiegati; -2,9% per gli operai). Le quote variabili di retribuzione si confermano fondamentali come correttore della stagnazione salariale: la quota variabile, nell’ultimo quinquennio ha avuto andamenti migliori della RAL in tutte le categorie contrattuali (operai + 4,5%, quadri +4,1%, gli impiegati + 2,3%, dirigenti -1%). I percettori di welfare sono in media il 43% dei lavoratori (84% dei dirigenti; 75,5% dei quadri; 53,2% degli impiegati; 21,9% degli impiegati) con un valore medio pari a 757€.
Il gender pay gap aumenta rispetto al 2018. In base ai dati Eurostat, l’Italia si posiziona al 18° posto su 24 stati in Europa. Dai nostri dati emerge che gli uomini guadagnano in media 3.000 € lordi in più rispetto alle donne (+11,1%) ed è come se quest’ultime lavorassero 12 mesi all’anno, ma se ne vedessero retribuire solo meno di 11 cominciando a percepire la retribuzione solo dal 6 febbraio in poi. La discriminazione è più forte nelle qualifiche contrattuali inferiori (11,1% per gli impiegati, 11,3% per gli operai, 8,8% per i dirigenti, 4,4% per i quadri).
La laurea e il vantaggio competitivo. La Ral media dei laureati è in media 39.787 euro, mentre quella dei non laureati è 27.662 euro. La motivazione è da ricondursi principalmente al fatto che il titolo di studio consente di accedere a percorsi di carriera migliori e quindi a stipendi più alti: un laureato su 4 è almeno Quadro o Dirigente, mentre solo 3 non laureati su 100 accedono a tali qualifiche. Le lauree triennali, tuttavia, non garantiscono prospettive migliori del diploma di scuola professionale, infatti questi ultimi guadagnano l’1% in più. Per godere del “salto” retributivo occorre quindi raggiungere almeno la laurea magistrale.