Cosa significa fare il “Boss” o fare il Leader”? Partiamo dal presupposto che non si “FA” ma si E’. Questo in entrambi i casi fa la differenza nella gestione delle risorse umane. Decidiamo chi vogliamo essere e poi volgiamo uno sguardo alla nostra azienda. Come reagisce il personale al nostro atteggiamento? quali risultati raggiunge e com’è cambiata la nostra reputazione aziendale? Partendo dalla vignetta in copertina, facciamo insieme una riflessione.
Il boss. Se il boss assume un atteggiamento di austerità “umiliante” e “abusa” del suo potere per evidenziare l’errore, non solo indebolirà la sua risorsa, con il rischio di ferire la sua autostima facendola cadere nel buio dell’ansia e della preoccupazione, ma non gli darà la possibilità di trarre insegnamento costruttivo e funzionale alla sua crescita. Se l’errore diventa “terrore”, non potrà fare altro che abbassare il livello di attenzione sulla produttività, concentrandosi più sul problema che sulla soluzione. “Perché si è arrabbiato?”, “Dove ho sbagliato?”, “Come posso rimediare?”, “Cosa sto facendo?”, “Ho sbagliato e l’ho deluso”, “Come posso scusarmi?”. Quanti di voi, dopo aver ricevuto un richiamo dal Capo, hanno passato più di 10 minuti seduti alla scrivania a fissare il vuoto pensando all’errore commesso con annessa paura delle sue conseguenze? Come ha impattato quell’atteggiamento sul vostro stato d’animo nel breve e nel lungo periodo?
Il Leader, invece, non si concentra sul problema o su chi l’ha generato, bensì ricerca velocemente la soluzione e la condivide con la sua risorsa coinvolgendolo attivamente nel suo piano B. Un atteggiamento positivo, gentile e brillante, trasmette serenità e propositività che si traducono in entusiasmo e desiderio di rivincita. Un Leader non deve solo far quadrare i conti, un leader è responsabile del benessere delle proprie risorse, anche e soprattutto nei momenti di difficoltà.
Poniamoci qualche interrogativo. Come pensate che una risorsa possa amare la propria azienda se non si è in grado di trasmettergli i suoi valori e il suo valore all’interno del contesto lavorativo? Come può un “capo” diventare “modello” da seguire per le sue risorse, se non è in grado di valorizzarle e di metterle in luce, di avvicinarle al proprio brand suscitando in loro sentimenti di orgoglio e di appartenenza che stimoli la loro creatività e li renda più competitivi verso realtà della medesima filiera?
“Lovemark”. Applichiamo ad esempio la logica che comunemente nel marketing è conosciuta come “Lovemark”. Gli addetti ai lavori, sanno che è un concetto di marketing che si basa su una reinterpretazione dell’idea di brand, finalizzata a generare “loyalty”. Basata principalmente sull’amore, inteso come “’attaccamento” e “affezione” al brand che “fidelizza” in maniera viscerale i clienti al marchio. Se applicassimo questo concetto, non solo esternamente verso i clienti, ma principalmente verso le nostre risorse, e quindi internamente, la possibilità di ricavarne dei benefici sarebbe molto alta e profittevole, in quanto un dipendente soddisfatto, motivato e rispettato e una risorsa che produce il doppio. Tra le leve di successo per creare “lovemarks”, c’è il mistero, basato sulle grandi storie, sogni, miti e ispirazione. E poi c’è l’intimità, che trova il suo successo nell’impegno, nell’empatia, nell’ascolto e nella passione. Essere un buon capo presuppone una grande strategia emotiva che prevede tutte queste leve insieme. Non distrugge e soprattutto, grazie alla sua “leadership” positiva, fortifica la propria reputazione internamente ed esternamente, diventando ingranaggio essenziale, amato e ammirato di una “macchina” che vede nelle sue risorse il vero e prezioso “capitale” umano. Potete scegliere di essere un Boss o un Leader, ma ricordatevi che da questo dipende il vostro successo.