Escluso il comparto agricolo, un’impresa su due in Italia è stata costretta a interrompere le proprie attività per le misure di contenimento adottate dal governo per fronteggiare la diffusione del covid-19: in totale 2milioni 100mila unità, corrispondenti a poco meno della metà imprese attive (47,3%). Oltre al comparto agroalimentare i settori che non hanno subito restrizioni sono quelli di pubblica utilità (energia, elettricità, rifiuti) insieme ai servizi di trasporto, di informazione, l’istruzione, la sanità e le attività finanziare e assicurative.
L’analisi. È quanto emerge dal policy brief “Covid-19: misure di contenimento dell’epidemia e impatto sull’occupazione” curato dall’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, che analizza l’impatto del lockdown sulle imprese e sui lavoratori a tempo indeterminato, determinato e con contratti di somministrazione in base alle misure adottate dal governo fino a dpcm del 10 aprile 2020.
“Le misure di sospensione delle attività produttive hanno agito in misura maggiore su settori caratterizzati, più di altri, dalla necessità di svolgere la prestazione lavorativa sul luogo di lavoro, come la gran parte delle imprese manifatturiere, mentre in buona parte dei settori rimasti attivi il lavoro ha caratteristiche tali da permettere uno svolgimento in modalità remota, telelavoro o lavoro agile” ha spiegato il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp.
“Dai dati analizzati – aggiunge – si ricava che sono soprattutto le micro e piccole imprese ad essere più colpite dalle misure di sospensione dell’attività produttiva. Queste, peraltro, per molte ragioni, incontreranno maggiori difficoltà nel sopravvivere a un periodo prolungato di assenza di fatturato e meritano pertanto particolare attenzione nella predisposizione di adeguate misure non solo per garantirne la sopravvivenza, ma anche per assicurarne la ripresa”.
I dati. In base allo studio – prosegue l’Inapp – le attività professionali sono state sospese in misura marginale (2,8%); il 41,9% delle imprese nel settore del commercio risultano attive, come il 29,2% delle imprese nel settore delle costruzioni. La quota di imprese sospese decresce quasi sistematicamente con la dimensione aziendale: a fronte di una incidenza complessiva delle aziende la cui attività è stata interrotta pari al 47,3%, le imprese senza addetti risultano sospese in ragione del 66,7%, mentre solo il 33,8% delle grandi imprese, con oltre 250 addetti, risultano interessate dalle misure di restrizione. Le imprese artigiane, che hanno caratteristiche dimensionali e settoriali specifiche, risultano sospese in misura superiore al totale (55,3%).
“La quota elevata di micro e di piccole imprese interessate dal fermo delle attività è preoccupante – ha proseguito il presidente dell’Inapp – dal momento che le aziende di dimensioni minori hanno generalmente una più bassa capacità di fronteggiare shock esogeni e inattesi che incidono in misura elevata sulla dinamica della domanda e sul fatturato”.L’analisi secondo la qualifica rivela una quota di dipendenti di imprese rimaste attive minore per gli operai e gli apprendisti (53,4% rispetto al 59,7% del totale dei dipendenti). Tale evidenza è associata alla più elevata incidenza dei provvedimenti di contenimento sul comparto manifatturiero che registra il 58,8% dei dipendenti sospesi a fronte del 40,3% del totale. Il 67,9% e il 75,3% degli impiegati e dei dirigenti, rispettivamente, sono rimasti attivi grazie al telelavoro o lo smart working.
L’analisi secondo il carattere dell’occupazione. I dipendenti a tempo determinato coinvolti dalle misure di contenimento del contagio – sottolinea l’Inapp – sono poco meno di 600mila unità, occupati in prevalenza nel settore terziario (419mila). I lavoratori a tempo determinato occupati in imprese che operano in settori per i quali è stata disposta la sospensione risultano più di altri a rischio di perdita dell’occupazione; inoltre – evidenzia l’Inapp – poco meno di 225mila dipendenti a termine interessati dalla restrizione sono occupati nel settore alberghiero e della ristorazione, dove il 92,9% delle imprese risultano sospese e dove generalmente i rapporti di lavoro a termine hanno una durata estremamente ridotta ed è verosimile che in presenza del fermo della attività i contratti non siano rinnovati.
La metà degli italiani al lavoro. Oltre la metà degli italiani la mattina continua ad alzarsi per andare a lavoro. Lo conferma l’Istat, che fotografa la situazione alla fine di marzo. L’Istituto di statistica traccia una mappa delle attività economiche dell’industria e dei servizi privati “sospese” e “attive”, calcolando il peso in termini di addetti per ciascun settore. Ne risulta che il 55,7% si reca in ufficio o in fabbrica. Ciò a prescindere dal fatto che ci siano comparti solo formalmente in stand-by, dove le sedi sono chiuse, ma che grazie allo smart working riescono ad andare avanti.