Il 2020 rischia di diventare l’annus horribilis del secolo. Oltre alle gravi ripercussioni che la pandemia in corso sta producendo sull’economia ed il mondo della finanza globale, arrivano le previsioni sul mondo del lavoro. Infatti, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ILO (International Labour Organization), durante la giornata del 7 aprile ha aggiornato la previsione dello scorso 18 marzo sugli impatti del Covid-19 sul mondo del lavoro. Lo scenario descritto rischia di essere estremamente drammatico, qualora non vengano messe misure coordinate e mirate a livello globale.
I settori maggiormente a rischio. ILO prevede che nel secondo trimestre del 2020 la pandemia eliminerà il 6,7% delle ore lavorative a livello globale, riguardanti ben 195 milioni di lavoratori a tempo pieno. La stima è anche specificata per le singole aree regionali: negli Stati arabi vi saranno riduzioni dell’8,1% corrispondente a 5 milioni di lavoratori a tempo pieno, in Europa sarà del 7,9% ovvero oltre 12 milioni di occupati, mentre nell’area dell’Asia e del Pacifico la riduzione prevista è del 7,2% riguardante oltre 100 milioni di lavoratori. Come sottolinea la stessa organizzazione, solo questi dati superano di gran lunga la crisi economica consumatasi nel 2008-2009. I settori maggiormente a rischio son in particolar modo i servizi di alloggio e di ristorazione, l’industria manifatturiera, la vendita al dettaglio e le attività commerciali e amministrative.
Non a caso il report dell’Organizzazione non esita a definire il Covid-19 come “la peggiore crisi globale dalla Seconda guerra mondiale”. Secondo il nuovo studio, oltre 1,25 miliardi di lavoratori sono impiegati nei settori qualificati come ad alto rischio di aumenti “drastici e devastanti” di licenziamenti o di vedere una drastica riduzione dei salari e degli orari di lavoro. In vero, molti degli occupati interessati si trovano già in una situazione lavorativa scarsamente retribuita e poco qualificata, quindi un’improvvisa perdita di reddito risulterebbe devastante. Tuttavia, a livello regionale la percentuale dei lavoratori dei settori a rischio varia: si passa dal 43% delle Americhe al 26% in Africa.
Il dettaglio dei dati aggiornati. Nelle ultime due settimane, specifica il report, il Covid-19 ha intensificato ed espanso la sua portata in termini globali, con enormi impatti sulla salute pubblica e uno shock senza precedenti per le economie e del mercato del lavoro. Dalla valutazione preliminare dell’ILO, le infezioni globali sono aumentate di oltre sei volte tra il 18 marzo ed il 3 aprile, attestandosi ad oltre un milione di infettati. Inoltre, sempre nello stesso lasso di tempo altre 47.600 persone hanno perso la vita, portando a 54.137 il numero totale dei deceduti. Molti paesi hanno avviato politiche di distanziamento sociale per rallentare la diffusione del virus, al fine di evitare conseguenze catastrofiche per i sistemi sanitari nazionali e ridurre al minimo le perdite di vite umane. Le misure di blocco e le relative interruzioni dell’attività, la chiusura delle scuole di ogni grado e le altre misure di contenimento hanno avuto un impatto drastico ed improvviso sui lavoratori e sulle imprese. Le stime dell’ILO mostrano che le chiusure dei posti di lavoro sono aumentate così rapidamente nelle ultime settimane che più dell’81% della forza lavoro globale vive in paesi con chiusure obbligatorie o consigliate. Nei Paesi con chiusura obbligatoria o consigliata del posto di lavoro, gli occupati rappresentano l’87% della forza lavoro dei Paesi a reddito medio-alto e oltre il 70% della forza lavoro dei Paesi ad alto reddito.
La situazione nei paesi in via di sviluppo. Naturalmente, il Covid-19 ha impattato anche su quella parte del mondo in via di sviluppo, dove le capacità di risposta alla crisi e le risorse sono fortemente limitate. A causa della massiccia perturbazione economica, la crisi sta colpendo una forza lavoro mondiale di 3,3 miliardi di persone. La brusca e improvvisa riduzione della catena economica globale sta causando un drastico calo dell’occupazione non in termini di numero di posti di lavoro, ma anche di ore di lavoro complessive. L’attività economica di interi settori è stata fortemente ridotta in molti paesi, determinando una forte diminuzione dei flussi di reddito per molte imprese. L’aggiustamento dell’occupazione segue tipicamente la contrazione economica con un certo ritardo, come fu a seguito della crisi finanziaria globale del 2009. Nell’attuale crisi, l’occupazione ha subito un impatto diretto a causa delle misure di blocco e con una portata maggiore rispetto a quanto inizialmente stimato all’inizio della pandemia dal primo report dell’ILO. L’aggiornamento del 7 aprile presenta nuove stime globali, regionali e settoriali con l’obiettivo di cogliere l’effetto della crisi nella sua forma attuale, specialmente per quanto riguarda gli effetti delle misure di contenimento. Tuttavia, specifica l’organizzazione che, data l’incertezza riguardo l’evoluzione della crisi, questi dati rappresentano una stima possibile, oltre che ottimistica, dell’attuale impatto della pandemia sul mercato del lavoro globale, ma quelli reali rischiano di essere ancor più drammatici.
Soluzioni. Ad ogni modo, il report fornisce alcuni spunti ai governi per poter fronteggiare tale situazione. Guy Ryder, Direttore generale ILO, è stato chiaro “I lavoratori e le imprese stanno affrontando una catastrofe, sia nelle economie sviluppate che in quelle in via di sviluppo. Dobbiamo muoverci velocemente, con decisione e insieme. Le misure giuste, urgenti, potrebbero fare la differenza tra la sopravvivenza e il collasso”. Secondo Ryder, sono quattro i pilastri sul quale devono basarsi le necessarie misure politiche integrate: sostegno alle imprese, all’occupazione e ai redditi; stimolazione dell’economia e dell’occupazione; protezione dei lavoratori sul posto di lavoro. Infine, il direttore conclude: “Questo è il più grande test per la cooperazione internazionale degli ultimi 75 anni”, ha detto Ryder. “Se un paese fallisce, falliamo tutti Dobbiamo trovare soluzioni che aiutino tutti i segmenti della nostra società globale, in particolare quelli più vulnerabili o meno capaci di aiutare sé stessi“.