È chiaro a tutti che le misure adottate dal Governo con il decreto Cura Italia non sono affatto la cura, ma un antidolorifico per il paziente sofferente: le misure adottate in materia di lavoro, ampiamente condivisibili sul momento, hanno infatti il difetto di essere temporanee e totalmente inadeguate a sostenere le imprese nella fase successiva di ripresa.
Il lockdown di questi giorni – essenziale sul piano sanitario – ci ha portato a sperimentare una insolita situazione di (quasi) economia zero: esercizi chiusi, scambi ridotti al minimo, produzioni ferme. E forse questa emergenza ha dimostrato che la decrescita consapevole è una teoria dell’irrealtà: nello scenario attuale, in un paese come è l’Italia, quando si smette di crescere si decresce e basta, senza felicità e con molti problemi di liquidità, perché l’abbattimento dei consumi innesca una reazione a catena che pervade tutti i settori dell’economia reale, riducendo i volumi produttivi, i commerci, provocando la perdita dei posti di lavoro e, alla fine, l’abbattimento dei redditi.
È uno scenario angosciante posto che non è dato sapere quali strumenti si intende mettere in campo per innescare la ripartenza e sostenere la domanda di beni di consumo e, con essi, la produzione e i redditi, cioè i posti di lavoro. Una domanda assilla la mente più di tutte: di cosa hanno concretamente bisogno le imprese per rimettersi in corsa e tenere in piedi le loro organizzazioni, evitando di lasciare sul terreno decine di migliaia di posti di lavoro.
Il primo impellente bisogno è la liquidità, di cui le imprese devono poter disporre nel momento di flessione della domanda e, quindi, dei fatturati. Per questo si auspica un deciso intervento dello stato nel garantire condizioni agevolate e veloci di accesso al credito, a tutti i livelli, magari normando meccanismi tali per cui il sistema bancario riconosce finanza a tasso zero assistita da garanzia statale, così da assicurare al sistema la liquidità di cui v’è bisogno per sostenere ripartenza dei processi produttivi e ripresa dei consumi.
Sullo stesso piano la gestione della forza lavoro: se è indubbio che la ripresa non sarà immediata è altrettanto fuori di dubbio che le aziende debbano poter disporre di strumenti di sostegno al costo del lavoro. In difetto, è facile immaginare che al termine dello stato di emergenza, cessato il momentaneo divieto di licenziamento introdotto il 17 marzo, prenderanno avvio ristrutturazioni massive analogamente a quanto accaduto l’indomani della crisi del 2008.
Molto utile sarà allora il ricorso agli ammortizzatori della cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria disciplinati dal decreto legislativo 148 del 2015, al fine di fornire alle organizzazioni strumenti di flessibilità che riescano ad assorbire il costo del lavoro di quelle risorse che non sono immediatamente integrabili nei processi produttivi nella loro lenta ripresa. Certo non sarebbe male se per gli anni 2020 e 2021, atteso il quadro complessivo, lo Stato intervenisse modificando i criteri di accesso creando una causale ad hoc, come è stato fatto per quella “COVID”, ed eliminasse i contributi addizionali, difficilmente sostenibili.
Stop Decreto Dignità. Inoltre, pur di creare posti di lavoro occorrerebbe superare i limiti normativi introdotti con il Decreto Dignità: via quindi le causali ed ogni limite percentuale ai contratti a tempo determinato, come pure il limite di durata di 24 mesi, che a maggior ragione per i rapporti in essere andrebbe da subito esteso almeno a 48 mesi, risultando difficilmente ipotizzabile una stabilizzazione nel contesto attuale.
Due armi necessarie a vincere la battaglia. Le aziende hanno bisogno di liquidità, da un lato, e di massima flessibilità, dall’altro, e ciò sta a significare che va rimosso ogni limite all’assunzione perché la priorità del momento è creare occupazione per sostenere la capacità di spesa delle famiglie. Qualora non vi riuscisse il Governo, ben possono riuscirsi le imprese e i sindacati ricorrendo allo strumento dei contratti di prossimità normati nel 2011 con il DL n. 138 (art. 8), che consentono di derogare alle norme di legge con efficacia nei confronti di tutta la forza lavoro qualora si renda necessario gestire crisi aziendali ed occupazionali, che è più o meno la situazione che ci troveremo ad affrontare a breve.
Scritto da Alessandro Paone, avvocato giuslavorista Partner di LabLaw Studio Legale