Questo sarà un articolo diverso dal solito, sarà più un pensiero, un momento di riflessione. Ci troviamo in un 2020 che è iniziato non nel migliore dei modi, un nuovo anno nel quale siamo stati attanagliati da una pandemia che sta mettendo il mondo intero a dura prova tra emergenza sanitaria, economica e sociale. Ma non è al coronavirus che voglio arrivare oggi.
Sentiamo ovunque i ringraziamenti per i professionisti sanitari quotidianamente impiegati in prima linea nella lotta contro questo mostro invisibile. Operatori con i camici bianche che tutti i giorni lavorano rischiando la propria vita. Medici e infermieri che lottano, spesso anche con inadeguatezza nei presidi, ma questo è un altro discorso. Navigando sul web, mi sono poi imbattuto in un articolo che recitava questo: “l’università italiana non forma abbastanza infermieri e, secondo la Federazione nazionale Ipasvi, nel 2006 la carenza di personale ammontava a circa 60 mila unità, per una mancanza di copertura dei posti di lavoro pari al 15%”. Il punto è che in Italia, oggi, c’è una grave carenza di infermieri.
Ma cosa sta succedendo in questo momento? Ad oggi, in tutte le regioni d’Italia, tantissime persone, ragazzi, neolaureati infermieri, medici alle prime armi ma anche operatori socio sanitari e addetti alla gestione del sistema sanitario, si stanno adoperando per dare il massimo, stanno combattendo come veri e propri soldati in trincea contro un virus mortale, che non risparmia nessuno. Nemmeno gli operatori stessi che, purtroppo, capita anche che ci rimettano la vita. Ma la cosa frustrante sapete qual è? La cosa più incredibile e sbalorditiva, è che questi ragazzi, tra pochi mesi, quando questa maledetta pandemia sarà finalmente debellata, torneranno a casa. Senza lavoro, vittime di un precariato che li ha condannati.
Basta parole, diamo ai professionisti sanitari ciò che meritano. Tantissimi infermieri, infatti, lavorano tramite cooperative che offrono contratti mensili, altri sono precari in strutture private per qualche mese per poi diventare nuovamente disoccupati. Allora, quello che mi sono chiesto è questo: piuttosto che dire semplicemente “grazie”, piuttosto che osannare questi operatori che non stanno facendo altro se non svolgere con serietà e dedizione il loro lavoro, quello per cui hanno studiato e deciso di diventare, per questi ragazzi e ragazze, non sarebbe giusto fare un’azione concreta? Non sarebbe forse il caso di offrirgli nient’altro che quello che meritano stabilizzando tutti gli infermieri che lavorano tramite cooperative o agenzie per il lavoro che stanno combattendo, rischiando la vita ogni giorno?