Sono le 11.00 di un venerdì mattina alle porte della primavera. Bussa alla finestra quel primo sole caldo di stagione che fa “time out” al freddo di morte a cui ci siamo abituati negli ultimi giorni. Il viso è stanco, dormiamo poco e male, restiamo svegli, in guardia, attenti che il nemico non arrivi alle spalle e ci colpisca a morte, o ci ferisca portando via con sé, i nostri affetti più cari. Via, lontano come le anime portate in braccio dai 70 furgoni militari che da Bergamo hanno intrapreso l’ultimo viaggio per città sconosciute dove ad attenderli per l’ultimo saluto vi erano solo il silenzio e il verde dei cipressi che in questo tempo di quaresima evocano l’odore del legno della croce di Cristo. Immagini incastrate negli occhi, chiuse in una morsa come pupille al sole, piccole e che nascondono la paura, la passione, il dolore e la preghiera.
Ma anche la speranza, quella che entra dalle finestre nelle nostre case, quando tutte le radio d’Italia per la prima volta nella storia, si sono sincronizzate come il battito del cuore che unisce tutti gli italiani in questo momento di difficoltà. L’audio è originale, sbiadito come una fotografia in bianco e nero che ricorda quel vecchio giradischi a casa della nonna, che canta: “E volavo, volavo felice più in alto del sole ed ancora più su, mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù”, un visionario come Domenico Modugno che risveglia il nostro bambino interiore che sente il bisogno di sognare e di liberarsi dalla paura del presente. Una bandiera tricolore sventola sul balcone come fossimo ai mondiali in attesa del primo goal della finale ed intanto le finestre del condominio che un tempo erano sempre chiuse, d’improvviso si spalancano, le persone si affacciano, cantano e si uniscono nel nome della musica.
L’appuntamento è lanciato dalla tv e non prevede ritardi, ma solo un repertorio alla portata di tutti che andrà suonato rigorosamente dal balcone, unica via d’uscita di questa quarantena. Avanzano le richieste della signora del 2° piano con cui finora c’è stato solo un casuale scambio di sorrisi, dal palazzo di fronte scendono due ragazzi armati di tamburello e bongos africani che accompagnano i classici della musica italiana, ed è così che quello spazio vuoto si colora di nuove amicizie. Da un balcone all’altro ci si aggrappa al momento come fosse una boccata d’aria. Il 4° piano è abitato da siciliani e il 3° da napoletani che alla fine del “concerto da balcone”, fanno scendere con una cordicella un caffè e una sigaretta, mantenendo la giusta distanza, mai troppo lontana dal cuore.
“Allora, ci vediamo domani” è la frase che mai ci saremmo aspettati in questa Milano che va sempre veloce e che fino ad oggi ci ha visti più macchine che uomini. Si fa sera ed il vicino di via Butti, proietta sul palazzo del Best Western ormai chiuso dall’emergenza, “La vita è bella” di Benigni e quando Giosuè alla fine del film, alza le braccia al cielo urlando “Abbiamo vinto”, le nostre lacrime scendono, piene di speranza e più forti di tutta l’amicizia e l’amore che questa incredibile esperienza sta lasciando nelle nostre vite.