Che la combo psicosi-web fosse capace di creare disinformazione e fake news di ogni tipo è fatto risaputo, ma la storia che ha legato l’azienda produttrice della Corona extra – la Constellation Brands – al Coronavirus ha dell’incredibile. Difatti da quando il Covid-19 è diventato un problema di interesse mondiale, sul web sono iniziati a circolare sempre più spesso meme goliardici, nati dall’omonimia tra il virus originatosi a Wuhan e la nota birra messicana. Ma quello che era nato ovviamente come uno scherzo è finito per diventare qualcosa di ben più serio: diversi utenti hanno iniziato infatti davvero a credere che ci fosse una reale correlazione tra il virus e il brand, con evidenti conseguenze per quest’ultimo in termini di andamento nel mercato internazionale.
I trend Google sono stati il primo campanello d’allarme per la Constellation Brands: difatti a partire dal 9 gennaio, data in cui l’Oms ha diffuso per la prima volta la notizia dell’esistenza di un nuovo virus che aveva contagiato diverse persone nella provincia cinese di Wuhan, su Google si sono verificati i primi casi di ricerche di formule come “beer virus” e “Corona beer virus”. Ricerche che man mano sono diventate sempre più frequenti, fino a subire un incremento esponenziale intorno al 30 gennaio, ovvero in prossimità della comparsa dei primi casi anche in Europa e in genere fuori dalla Cina.
Un danno d’immagine tutt’altro che irrilevante. È quanto ha dovuto affrontare l’azienda produttrice della Corona, che si è trovata in questa settimana a dovere fare i conti con una perdita dell’8% alla borsa di New York, come fa notare Bloomberg. Ovviamente, è doveroso specificare che si tratta di un prodotto che raggiunge i migliori risultati in termini di fatturato soprattutto in estate, ma la diversa percezione che i consumatori hanno avuto in queste settimane del brand non si può spiegare se non con la paradossale associazione al Covid-19. Secondo YouGov, la società internazionale che effettua ricerche di mercato e analisi dei dati sulla base della recezione di un determinato marchio sul web, infatti il marchio Corona è sceso da 75 a 51 punti in questa settimana. Inoltre, sempre secondo YouGov, negli Stati Uniti, dove la birra Corona è la terza più venduta – dopo Guinness e Heineken – oggi l’intenzione di acquisto è il minimo da due anni.
L’azienda ha dovuto perfino diffondere un comunicato ufficiale in cui quest’ultima si è pubblicamente augurata che “i consumatori capiscano che non c’è nessuna connessione” tra il virus e il loro prodotto. Sembrerebbe una storia incredibile, quasi un racconto umoristico, eppure, a ben guardare, di divertente c’è ben poco. Anzi, è l’ennesima prova di quanto un’informazione scorretta possa avere effetti anche disastrosi. Non è un caso infatti che la scorsa domenica l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia lanciato l’allarme infodemia, ovvero quel fenomeno per cui in merito al nuovo coronavirus c’è una diffusione incontrollata di informazioni – anche non verificate – tra fake news e teorie complottiste, le cui conseguenze – come mostra questa storia – possono essere anche piuttosto serie.