Fabio Bertolini è un professionista delle risorse umane multiculturale con 15 anni di esperienza in diversi settori aziendali, dalla vendita al dettaglio a mobili di design di alta gamma, consulenza energetica e ingegneristica, in aziende multinazionali, complesse e strutturate, ma anche in organizzazioni di medie dimensioni in rapida crescita. Con forti competenze in progettazione organizzativa, analisi dei processi, premi, compensi e benefici, analisi del costo del lavoro, budget e rendicontazione, Fabio vanta il raggiungimento di importanti obiettivi nelle start-up della funzione risorse umane, nella valutazione delle prestazioni e nella progettazione di sistemi gratificanti, progetti di integrazione di fusioni e acquisizioni, attuazione di procedure e politiche.
GFT Technologies è un’azienda tedesca, attiva nel settore information technology principalmente in ambito finanziario, bancario e assicurativo. La società, fondata nel 1987 dal Prof. Dr.-Ing. Schönemann, ad oggi sta guidando la trasformazione digitale delle istituzioni finanziarie leader a livello mondiale. Altri settori come l’industria e il settore assicurativo, si avvalgono delle significative capacità consulenziali e di implementazione di GFT in tutti gli aspetti delle tecnologie pionieristiche.
Come sta cambiando la figura del direttore del personale rispetto alla rivoluzione epocale che stiamo vivendo nella società, nell’economia e nel mondo del lavoro? Si tratta di un ruolo chiave per gestire questa fase di cambiamento e transizione verso l’era della robotica e dell’intelligenza artificiale? Certamente il ruolo del direttore del personale sta evolvendo in modo progressivo e continuativo a partire dal 2008, a seguito della crisi economica; c’è stata una vera e propria inversione di tendenza, in cui il direttore del personale (e la funzione HR nel suo complesso) è passato da essere figura amministrativa e legata al mondo delle operations a un ruolo più strategico, che lavora davvero a supporto del vertice aziendale e che quindi diventa un vero e proprio HR business partner. L’implementazione e la definizione della strategia legata alla gestione delle persone è ora demandata al direttore delle risorse umane in modo sempre più autonomo e sempre più completo. La stessa evoluzione è avvenuta ovviamente anche all’interno di GFT, dove le risorse umane rivestono un ruolo strategico per il business e dove l’approccio è “taylor made” nei confronti soprattutto dei giovani, più legato alla qualità delle risorse che alla quantità, sebbene nel nostro settore il numero di persone necessarie sia assolutamente importante per poter soddisfare il cliente finale con il delivery dei progetti. Sicuramente lo sviluppo della robotica e dell’AI ha un impatto anche sulle Risorse Umane, ma ritengo che l’apporto umano sia ancora assolutamente fondamentale e imprescindibile, sia per i temi legati al recruiting che per la gestione dei dipendenti e per tutto quello che è la cura della persona all’interno dell’azienda.
Il tema del benessere in azienda è molto diffuso. Come si realizza in concreto e quali sono le leve da attivare? Quello del benessere in azienda è un tema sicuramente molto diffuso e che, per noi, richiede una grande attenzione. Accanto a questo concetto aggiungerei quello più generale di work life balance. Negli ultimi tre anni è diventato imprescindibile occuparci di questa tematica sia in termini di modalità con cui attraiamo persone all’interno, ma anche come leva di retention, in un mercato in cui c’è molta concorrenza fra aziende per trattenere personale qualificato. È un argomento molto legato alle nuove generazioni e alle modalità con cui questi lavorano: oggi un giovane che esce dall’Università utilizza il telefono cellulare come strumento di lavoro quasi univoco, lavora in mobilità, non sente la necessità di doversi spostare da un luogo fisico all’altro per svolgere il proprio lavoro. Di conseguenza, tutto ciò che è legato allo smart working e al garantire alla persona lo spazio e il tempo libero necessario – senza che questo incida sulla produttività – è diventato fondamentale e noi, come GFT, lo abbiamo inserito da alcuni anni fra le linee guida per la gestione delle persone. Abbiamo già implementato le politiche di smart working negli ultimi due contratti integrativi aziendali, facendole diventare una prassi lavorativa molto diffusa e consentendo alle persone di lavorare al di fuori degli uffici, dovunque loro vogliano. La risposta da parte dei dipendenti è stata molto buona, con un livello di apprezzamento e di adesioni molto alti.
Il welfare aziendale è uno strumento di grande attualità che si sta sviluppando in modo capillare soprattutto negli ultimi anni. Tramite questi strumenti l’azienda ottiene una molteplicità di benefici con ricadute positive anche a livello sociale. Che ne pensa? Sempre all’interno dei contratti integrativi aziendali abbiamo un sistema di welfare che sostanzialmente sfrutta la legge di bilancio 2016 e le sue evoluzioni e che permette di trasformare tutti i premi di produttività che eroghiamo in piani di welfare. Questo ci ha permesso di dare ai nostri dipendenti dei vantaggi economico-fiscali immediati, dal momento che, con questa modalità, il dipendente trasforma un premio lordo in un premio netto, recuperando tasse e contributi. Fortunatamente la legge italiana in questo senso riesce a offrire un panel di beni e servizi ampio. Come dato, il primo anno in cui è stata implementata questa politica, l’adesione al sistema di welfare è stata del 67%, un risultato molto positivo ottenuto anche grazie alla collaborazione delle organizzazioni sindacali che ci hanno supportato nella comunicazione dell’iniziativa e nel farne capire immediatamente i vantaggi.
La dimensione spazio-temporale del lavoro e della sua organizzazione stanno cambiando. Il tempo e il luogo di lavoro sono sempre meno vincolanti, anche se non per tutte le realtà. Parliamo di smart working e di work-life balance. A che punto siamo? Le politiche di smart working adottate in GFT hanno un riscontro molto positivo, con un tasso di adesione molto alto, soprattutto nelle nostre sedi dislocate nelle province italiane, come ad esempio in Toscana, dove gli spostamenti sono meno semplici, anche per via delle distanze da coprire. A far la differenza nel successo di queste iniziative è stato sicuramente un management che ne ha compreso l’importanza e il valore e che non ne ha ostacolato lo sviluppo. In questo caso, la cultura di un nuovo approccio al lavoro è stata fondamentale.
Nell’economia della conoscenza le risorse principali su cui investire e che rappresentano un vantaggio competitivo sono i talenti. Alcuni consulenti di McKinsey nel lontano 1997 hanno teorizzato addirittura la “guerra dei talenti” tra le aziende. Oggi parliamo di giovani talenti che appartengono alla generazione dei Millennials ma anche alla Generazione Z. Come si attrae e trattiene un talento e perché è così importante? Siamo davvero in guerra con i concorrenti e con un mercato molto veloce e molto redditizio. Ci contendiamo però non solo i generali d’armata, ma anche i soldati semplici. Ritengo infatti che quello dei talenti sia un concetto a volte abusato, mentre il tema vero sia quello legato al futuro dell’azienda, ossia a come far crescere le persone al proprio interno. Pianificare il futuro in modo attendibile e credibile si può fare solo attraverso persone di cui l’azienda si prende cura, facendo in modo di creare un patto fra l’organizzazione e le persone, che solo cosi saranno motivate e competenti, più ricche in termini professionali ma anche umani, ed è lì che sta il vero talento.
La robotica e l’intelligenza artificiale stanno progressivamente trasformando l’azienda e il lavoro. In che modo stanno cambiando anche l’attività della funzione HR? Ci sono già diversi ambiti di applicazione come per esempio nella fase di selezione del personale? Dal punto di vista tecnologico abbiamo oggi a disposizione sistemi per la selezione del personale molto sofisticati e avanzati, come ad esempio ologrammi in 3D in grado di intervistare i candidati e simulare le espressioni facciali in funzione della risposta grazie all’AI. Credo tuttavia che questi sistemi non siano sostitutivi della figura del selezionatore, che rimane un ruolo molto delicato in cui l’interazione umana, le sfumature che permettono di percepire tutto quello che non è scritto in un curriculum o che non viene detto durante un colloquio siano determinanti. Quindi ben vengano elementi tecnologici utili e che aiutano la funzione HR, ma non credo che potranno sostituirsi alle persone.
L’azienda, a volte, si trova di fronte la necessità di procedere a licenziamenti collettivi. Come si gestisce questa fase critica? Un licenziamento collettivo è sicuramente un momento complesso e una fase critica sia per l’azienda ma soprattutto per le persone coinvolte, che va gestita attingendo a tutte le opportunità che la legge offre, che vanno dagli ammortizzatori sociali alle modalità di gestione di una transazione o di conciliazione. Occorre mettere in pista tutti gli strumenti possibili per facilitare e supportare il reinserimento delle persone nel mondo del lavoro, come ad esempio un processo di re-skilling, per formare le persone e reintrodurle in altri progetti e altre attività.
Le relazioni sindacali in questi anni sono molto cambiate. La dimensione aziendale è sempre più importante. Quali sono gli elementi di innovazione che vede o che auspica nelle relazioni industriali? Il sindacato che viviamo oggi nella nostra realtà organizzativa è un sindacato che ci aiuta e che comprende l’azienda e le tematiche da affrontare. In questi anni c’è stata molta apertura su tutte le tematiche di welfare, di smart working e di tutela di genere. Ci interfacciamo con qualcuno che riesce a comprendere le esigenze di un mondo del lavoro che è cambiato molto rapidamente e in modo sostanziale e che non ostacola lo sviluppo dell’azienda. Come GFT, ad esempio, collaboriamo e supportiamo una sigla sindacale per un progetto legato all’Industry 4.0. Quindi auspico relazioni industriali in cui azienda e sindacati collaborino per un fine comune e in cui non ci siano pregiudizi che precludano la possibilità di una crescita sinergica.
Se fosse Ministro del Lavoro quale sarebbe il primo provvedimento che promuoverebbe? Difficilissimo pensare a un provvedimento da proporre, in un mondo del lavoro che negli anni ha tentato di percorrere molte strade, anche in contrapposizione, non sempre con successo. Sicuramente, quello che è mancato negli anni è stato il tentativo di mettere in equilibrio il binomio fra aziende e lavoratori, a tutti i livelli. Personalmente ritengo siano da evitare misure di sostegno circostanziate che non incentivano la crescita, e che vadano invece promossi e favoriti provvedimenti volti a sostenere l’occupazione e lo sviluppo e che rappresentino un motore per il mondo del lavoro.
Infine, una domanda personale. Come e perché si decide, ad un certo punto della propria vita, di diventare direttore del personale? Sono entrato nel mondo delle Risorse Umane dopo la laurea in Ingegneria Gestionale, che sulla carta non era dunque il percorso che immaginavo. Ma ho trovato sulla mia strada persone e dinamiche che mi hanno convinto che fosse un mondo che mi piaceva e in cui volevo restare. Questo perché mi permette di vedere l’azienda, come dico di solito “come se fossi su un elicottero”. Si riescono a vedere le dinamiche dall’alto, dall’elicottero si riescono a portare i soccorsi, si possono fare missioni di ricognizione, di possono traghettare persone da un punto all’altro, quindi è un ruolo che ti consente di intervenire avendo una vista completa. Questo è quindi uno dei motivi per cui sono rimasto in questo settore.