Maurizio Moretti vanta oltre 30 anni di esperienza nella Funzione Risorse Umane, in realtà industriali/commerciali di medio-grandi dimensioni, ricoprendo il ruolo di Responsabile delle Risorse Umane, prima in Sasib spa (macchine automatiche per il mercato del tabacco), poi in Bredamenarinibus spa (Gruppo Finmeccanica – Automotive costruzione autobus) e ora in Roadhouse Spa (gruppo Cremonini – Ristorazione Commerciale). La filosofia personale e professionale di Maurizio è chiara: “Le persone al centro”.
Roadhouse è una catena di steakhouse di origine statunitense, approdata in Italia nel 2001 grazie al Gruppo Cremonini, e che oggi conta 151 locali e oltre 3400 dipendenti. Specializzata nella preparazione di carni bovine rigorosamente cucinate a vista, propone una selezione dei migliori tagli all’interno di un menù in costante evoluzione che comprende burgers, sandwiches e salads.
Come sta cambiando la figura del direttore del personale rispetto alla rivoluzione epocale che stiamo vivendo nella società, nell’economia e nel mondo del lavoro? Si tratta di un ruolo chiave per gestire questa fase di cambiamento e transizione verso l’era della robotica e dell’intelligenza artificiale? C’era una volta il “Capo del personale”. Un po’ controllore e custode della disciplina, regista contabile e longa manus del “padrone”, minuzioso amministratore e temuto tagliatore dei costi. Sembra preistoria. Perché oggi più che mai la figura dell’HR è quella che si è più radicalmente trasformata all’interno delle organizzazioni, a partire dal nome, per arrivare a una complessità di ruoli e competenze che identificano l’HR Manager come cruciale agente del cambiamento. Tutto ciò è sicuramente vero, ma secondo me l’HR, oggi come ieri, non deve mai prescindere la suo vero e proprio core business che è”la persona” in quanto oggetto di considerazione nell’ambito dei rapporti della vita sociale/professionale. Tecnologia e robotica non potranno mai sostituire il rapporto umano, il confronto, il farsi carico delle emozioni. Io proporrei persino di cambiare ancora il job title dell’HR definendolo “Responsabile delle Persone”.
Il tema del benessere in azienda è molto diffuso. Come si realizza in concreto e quali sono le leve da attivare? E’ direttamente collegato a quello che dicevo prima, il benessere in azienda è tanto più sentito dalle persone quanto è alta l’attenzione dell’azienda verso di loro. In un’epoca in cui le persone non sono mai totalmente soddisfatte per quello che hanno, è importante che le aziende creino un clima aziendale favorevole al benessere dei collaboratori. In America è diffusa la figura del Chef Happiness Officer, noi non dobbiamo arrivare a tanto, serve solo una semplice attitudine che secondo me si è un po’ persa…ascoltare!
Il welfare aziendale è uno strumento di grande attualità che si sta sviluppando in modo capillare soprattutto negli ultimi anni. Tramite questi strumenti l’azienda ottiene una molteplicità di benefici con ricadute positive anche a livello sociale. Che ne pensa? Concordo. Il welfare aziendale è uno strumento prezioso per migliorare il clima lavorativo e il benessere delle persone. È in grado di trattenere i talenti e attrarne di nuovi, facendo leva su benefici significativi, non solo dal punto di vista economico/fiscale, ma anche al fine di conciliare il lavoro con la vita privata.
La dimensione spazio-temporale del lavoro e della sua organizzazione stanno cambiando. Il tempo e il luogo di lavoro sono sempre meno vincolanti, anche se non per tutte le realtà. Parliamo di smart working e di work-life balance. A che punto siamo? Work in progress. Lo Smart Working non è una semplice iniziativa di work-life balance per le persone: si innesca in un percorso di profondo cambiamento culturale e richiede un’evoluzione dei modelli organizzativi aziendali. E’ a tutti gli effetti una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte, si spera, di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Per questo va gestita con attenzione, evitando l’anarchia.
Nell’economia della conoscenza le risorse principali su cui investire e che rappresentano un vantaggio competitivo sono i talenti. Alcuni consulenti di McKinsey nel lontano 1997 hanno teorizzato addirittura la “guerra dei talenti” tra le aziende. Oggi parliamo di giovani talenti che appartengono alla generazione dei Millennials ma anche alla Generazione Z. Come si attrae e trattiene un talento e perché è così importante? Lavoro in un Azienda di oltre 3500 dipendenti la cui età media è di 26 anni e dove oltre il 50% delle persone ha meno di 24 anni. Generazione Y e Z sono il nostro target. E’ un vero e proprio problema culturale e comunicativo. Sono figli delle nuove tecnologie, sempre connessi, rapidi più che accurati, multitasking. Ma sono anche estremamente fragili. Hanno un continuo bisogno di feedback, di attenzione, di rassicurazioni. Ma restano sempre persone. Ed esiste un unico segreto per ingaggiare le persone: ascoltarle (mi ripeto lo so ma sono fissato!).
La robotica e l’intelligenza artificiale stanno progressivamente trasformando l’azienda e il lavoro. In che modo stanno cambiando anche l’attività della funzione HR? Ci sono già diversi ambiti di applicazione come per esempio nella fase di selezione del personale? Aborro l’uso dell’intelligenza artificiale nel processo di selezione del personale, non la utilizzerò mai. Per me I processi di HR che devono essere influenzati dalle nuove tecnologie rimangono i classici (sistemi informativi gestionali, analisi costi, payroll). Per il resto preferisco lasciare spazio alla creatività e all’intelligenza “umana”.
L’azienda, a volte, si trova di fronte la necessità di procedere a licenziamenti collettivi. Come si gestisce questa fase critica? Con onestà e franchezza. E’ un momento delicato ma bisogna sempre pensare che dietro ad un numero di esuberi ci sono delle persone. Occorre dedicare loro del tempo, ingaggiando anche la controparte sindacale.
Le relazioni sindacali in questi anni sono molto cambiate. La dimensione aziendale è sempre più importante. Quali sono gli elementi di innovazione che vede o che auspica nelle relazioni industriali? Oggi l’assetto delle relazioni sindacali non è più quello scaturito dagli anni 70 in poi (decisiva in questo senso anche la forte spinta alla disintermediazione degli ultimi governi). La fabbrica fordista così come l’abbiamo conosciuta di fatto non esiste più in termini organizzativi. Il perno del sistema produttivo si è spostato verso la fabbrica diffusa e la frammentazione del lavoro ha fatto perdere centralità all’operaio di massa della grande fabbrica. Penso che sia il sindacato che deve evolversi se vuole mantenere un ruolo attivo e deve proporsi come interlocutore di interessi diversi. Deve cioè spostare la sua attenzione dal lavoratore in senso stretto al lavoro nelle sue molteplici sfaccettature.
Se fosse Ministro del Lavoro quale sarebbe il primo provvedimento che promuoverebbe? Sarebbero tanti. Mi limito. Abolizione Quoto 100 e Reddito di cittadinanza e focalizzerei le stesse risorse verso un innalzamento dei redditi degli incapienti incredibilmente esclusi da tutti i benefici fiscali fin qui introdotti (Bonus Renzi per intenderci). Revisione delle norme sui tempi determinati elevando a 24 mesi il limite massimo senza causale.
Infine, una domanda personale. Come e perché si decide, ad un certo punto della propria vita, di diventare direttore del personale? Personalmente non l’ho deciso, mi è capitato. Uscito dalla scuola mi ha chiamato un azienda proponendomi un lavoro all’ufficio personale. Io non sapevo cosa aspettarmi. Ho iniziato ed è stato amore a prima vista. Per me non esiste lavoro migliore di questo.