Le esportazioni di ortofrutta Made in Italy sono crollate del 4% nel 2019 su valori minimi degli ultimi cinque anni stimati pari a circa 4,7 miliardi di euro. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base delle proiezioni su dati Istat relativi ai primi dieci mesi, in rifermento a Fruit Logistica di Berlino la principale fiera internazionale di settore dove è presente il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini per incontrare gli operatori italiani, i più presenti all’evento.
Un motivo di forte preoccupazione degli operatori in Germania dove si consuma quasi 1/3 dell’ortofrutta Made in Italy esportata e si registra – sottolinea la Coldiretti – un preoccupante crollo del 10%. Tra la frutta italiana più esportata nel mondo fra i dati peggiori c’è quello delle pere che crollano in quantità del 30% rispetto all’anno precedente ma va male anche all’uva che perde il 17% mentre le pesche limitano i danni a un -1,3%. Tra gli agrumi, profondo rosso per le arance con le quantità esportate in diminuzione del 29%. In difficoltà – prosegue la Coldiretti – anche gli ortaggi con le cipolle che perdono il 15% all’estero, la lattuga crolla del 9,8% e le carote del 6,6%.
La promozione del Made in Italy. “Esiste una situazione di oggettiva difficoltà del comparto ortofrutticolo” evidenzia il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini sottolineando la necessità di “superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse per la promozione del vero Made in Italy all’estero puntando a un’Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo e ad investire sulle Ambasciate, introducendo nella valutazione principi legati al numero dei contratti commerciali.”
I trasporti. “A livello nazionale – continua Prandini – servono trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo visto che la densità delle nostre infrastrutture è più bassa rispetto ad altri Paesi: basti pensare che ogni 100 km quadrati abbiamo 5,5 chilometri di ferrovie contro gli 11 della Germania. Inoltre, serve una task-force che permetta di rimuovere con maggiore velocità le barriere non tariffarie che troppo spesso bloccano le nostre esportazioni”.
I dati. Alle difficoltà all’estero si aggiungono quelle sul mercato interno con gli italiani che hanno tagliato gli acquisti di frutta e verdura che scendono nel 2019 a circa a 8,5 miliardi di chili, in diminuzione del 3% rispetto all’anno precedente, con effetti sulla salute e sulla qualità della vita, sulla base di una proiezione della Coldiretti sulla base dei dati Cso. Dopo tre anni di aumento progressivo dei acquisti si è verificato infatti un brusco calo che – sottolinea la Coldiretti – ha fatto scendere il consumo individuale sotto la soglia minima di 400 grammi di frutta e verdure fresche per persona, da mangiare in più volte al giorno, raccomandato dal Consiglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per una dieta sana.
Il calo – precisa la Coldiretti – è stato del -4% per la frutta e del -2% per gli ortaggi nonostante il diffondersi di smoothies, frullati e centrifugati consumati al bar o a casa grazie alle nuove tecnologie. Un dato ancora più allarmante – denuncia Coldiretti – se si considera che a consumare meno frutta e verdura sono soprattutto i bambini e gli adolescenti, con quantità che sono addirittura sotto la metà del fabbisogno giornaliero, aumentando così i rischi legati all’obesità e alle malattie ad essa collegate. A livello generale le mele – precisa la Coldiretti – restano il frutto più consumato, al secondo posto ci sono le arance, mentre tra gli ortaggi preferiti dagli italiani salgono sul podio nell’ordine le patate, i pomodori e le insalate/indivie.
L’Italia è il secondo maggiore produttore di frutta e verdura nell’Unione Europea. A rischio c’è un patrimonio ortofrutticolo nazionale di 1 milione di ettari che vale oltre il 25% della produzione lorda vendibile agricola italiana – conclude la Coldiretti – che deve affrontare la concorrenza sleale sui mercati dell’Unione Europea dei prodotti provenienti da paesi extracomunitari che sono spesso il risultato dello sfruttamento del lavoro, anche minorile, o, dell’utilizzo improprio di prodotti chimici, in alcuni casi sono vietati da decenni in Europa, che mettono in pericolo per l’ambiente e la salute.