Il lavoro con i voucher è tra le tipologie di rapporto di lavoro presenti all’interno del nostro ordinamento giuridico, quello che si presta alla maggiore flessibilità perché risponde da un lato all’esigenza delle imprese e dei privati di trovare collaboratori che siano disposti ad eseguire prestazioni di lavoro molto limitate nel tempo – quindi di natura meramente occasionale – e, dall’altro, all’esigenza del prestatore di lavoro di avere, appunto, un impegno lavorativo ridotto in termini di ore e molto flessibile.
Nasce, infatti, con il Decreto Biagi del 2003 (artt. 70 e 72 del D.Lgs. n. 276/2003), passa attraverso diversi e successivi aggiustamenti, non ultimo quello operato dalla riforma del lavoro Fornero di giugno 2012 (L. n. 92/2012) e arriva alla disciplina attualmente in vigore in chiave molto più semplificata rispetto al passato ma mantenendo tuttavia una forte caratterizzazione in termini di flessibilità. Flessibilità che si manifesta da un lato perché è svincolato da una vera e propria forma contrattuale e, dall’altro, perché è caratterizzato da un sistema di voucher (o buoni lavoro) che hanno la duplice finalità di garantire al prestatore di lavoro un trattamento economico e una copertura previdenziale e al datore di lavoro di avvalersi di prestatori di lavoro senza il rischio di incorrere nelle sanzioni previste per il lavoro non dichiarato (in pratica per il lavoro nero).
Come chiarito anche dal Ministero del Lavoro con la propria Circolare n. 4/2013 e, con riferimento alle attività svolte nell’ambito dell’impresa familiare con la Lettera Circolare del 10 giugno 2013 n. 10478, si tratta di uno strumento che ha la finalità di ricondurre nell’ambito della regolarità (e quindi della legalità) talune prestazioni di carattere occasionale che sono frequentemente escluse da qualsiasi formalizzazione. Si tratta, ad esempio, delle attività svolte da pensionati, da studenti, da casalinghe, da stranieri regolarmente soggiornanti quali ad esempio i coniugi o i familiari di cittadini stranieri in possesso di valido titolo di soggiorno.
Ma come funziona?
In pratica, secondo la legge è possibile accettare prestazioni di lavoro occasionale o accessorio solo se si prevede di conseguire redditi nell’anno solare (ossia ad esempio tra giugno 2013 e giugno 2014) e dalla totalità dei committenti, per un importo complessivo non superiore a 5000,00 Euro. Tale importo è dettato dalla legge quale limite interno di tale forma di lavoro ed è quindi indirizzato proprio a qualificare la prestazione di lavoro appunto come “accessoria”, perché ancorata al riferimento quantitativo ad un compenso massimo – per anno solare – in capo al lavoratore. Non più, quindi, come avveniva in passato sulla base di una misura massima di corrispettivo erogabile da parte del datore di lavoro. La distinzione non è di poco conto perché il cambiamento di prospettiva responsabilizza le parti del rapporto di lavoro ad offrire da un lato, ma anche ad accettare dall’altro, prestazioni di lavoro che siano realmente “occasionali” come è possibile verificare anche dal contenuto delle note esplicative diramate dal Ministero del lavoro.
Si tratta di una precisazione di grande importanza pratica, tanto è vero che tra le novità introdotte nel 2012 è ora previsto che, fermo restando il limite complessivo, per anno solare, pari a 5000,00 Euro, quando il committente (ossia il datore di lavoro) operi nel settore commerciale o sia un professionista, il prestatore di lavoro non potrà percepire da ciascun datore di lavoro più di 2.000,00 euro. La finalità di limitare gli abusi è chiara proprio in ragione dell’individuazione di tale ulteriore limite.
Nella individuazione dei limiti per il ricorso al lavoro accessorio la prospettiva e la valutazione in merito alla opportunità o meno di ricorrere a tale tipologia di rapporto, è stata quindi ribaltata da parte del Legislatore sul prestatore di lavoro, finendo per attribuire valore determinante solo alle attività che siano effettivamente tali o perché il lavoratore non svolge abitualmente alcuna attività lavorativa (è il caso degli studenti, delle casalinghe, dei familiari degli stranieri regolarmente presenti in Italia) o perché il lavoratore occasionale è titolare di pensione (nel trattamento di pensione rientrano i trattamenti di anzianità o di pensione anticipata, pensione di vecchiaia, pensione di reversibilità, assegno sociale, assegno ordinario di invalidità e pensione agli invalidi civili nonché tutti gli altri trattamenti che risultano compatibili con lo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa e non invece i trattamenti connessi con una inabilità accertata e assoluta al lavoro) oppure perché il lavoratore percepisce un trattamento di integrazione salariale (in questo caso il limite complessivo per anno solare passa a 3000,00 Euro), oppure, ancora, perché è impiegato altrove (come può avvenire ad esempio nelle imprese familiari nelle quali l’impiego altrove full time viene considerato un elemento qualificante proprio della natura occasionale della prestazione).
Ne esce ridimensionata anche la possibilità di ricorso a tale tipologia di rapporto nel settore agricolo, potendo ricorrervi solo per attività stagionali, se l’attività è svolta appunto da pensionati o giovani studenti (con meno di 25 anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, quindi ad esempio nei fine settimana e durante le vacanze scolastiche, come precisato dall’INPS con la Circolare n. 49/2013 ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’Università) oppure, a prescindere da chi è il lavoratore accessorio, se l’attività è svolta a favore dei piccoli imprenditori agricoli come previsti dall’all’art. 34, comma 6, del D.P.R. n. 633/1972 (ossia i “produttori agricoli che nell’anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio attività, prevedono realizzare un volume d’affari non superiore a € 7.000, costituito per almeno due terzi da cessione di prodotti”).
Ulteriori limitazioni sono previste quando il committente sia un’amministrazione pubblica. In tal caso il Legislatore prevede semplicemente che il ricorso al lavoro accessorio “è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno”.
La prestazione viene compensata con il sistema dei voucher. I buoni lavoro aventi valore nominale predefinito (Euro 10,00), datati e numerati progressivamente e consegnati per l’incasso alle rivendite autorizzate, devono essere acquistati dal committente prima dell’inizio della prestazione presso i soggetti autorizzati (accedendo al portale dell’INPS – www.inps.it – o presso le sedi territoriali dell’istituto; presso i tabaccai che aderiscono ad apposita convenzione con l’INPS; presso le Banche popolari abilitate; presso gli Uffici postali). Le novità legislative introdotte nel 2012 hanno cambiato il criterio di quantificazione del compenso del lavoratore accessorio superando il precedente criterio legato al valore di mercato della prestazione lavorativa resa – che poteva dare luogo ad abusi – e ancorando così la quantificazione del compenso orario al valore del buono (pari a € 10) evitando così che lo stesso buono possa essere utilizzato per remunerare prestazioni di diverse ore. Nulla toglie, ovviamente, che la prestazione oraria possa essere compensata in misura superiore a quella minima prevista dalla legge.
In merito alle concrete modalità di acquisto, registrazione, erogazione e pagamento dei voucher si rinvia alle istruzioni presenti nell’area dedicata al Lavoro accessorio in www.inps.it e alle Circolari Circolari INPS n. 49/2013 e INAIL n. 21/2013.
Avv. Paola Salazar