Devis Raddi, HR Manager Imperiale Group, è da sempre dedicato alle Risorse Umane, ama definirsi cultore di giardini, filosofia e latinità. “Le persone sono come le piante: per farle crescere occorre coltivarle, preparando loro terreno e nutrimento, nonché creando un habitat idoneo e adatto” è un po’ questa la politica di Devis. Convinto che nell’era tecnologica, cibernetica e robotica, l’Umanesimo abbia ancora molto da dire e da insegnare, Devis crede che i classici ancora una volta ci vengano in soccorso: “i grandi maestri, – spiega – anche quelli insospettabilmente inavvicinabili al mondo del lavoro come San Tommaso, S. Benedetto e ancora Cicerone e Seneca, ci sorprendono quotidianamente con la loro saggezza di metodo e freschezza di idee. A noi l’eleganza e umiltà di saperli ascoltare, cogliere e far nostri”.
Imperiale Group, azienda presso la quale Devis svolge la professione di HR Manager, è fortemente legata alle tradizioni territoriali della “Terra dei motori” emiliana. Operante nel settore della verniciatura in campo automotive, Imperiale utilizza tecnologie all’avanguardia e mette al servizio dei propri clienti un’esperienza trentennale oltre che una grande passione frutto dalla realizzazione artigianale di prodotti esclusivi conosciuti in tutto il mondo. A Imperiale, che vanta una capacità produttiva di circa 1200 Aventador e 800 Huracán annue, si aggiunge un centro di assistenza autorizzato Lamborghini Service che offre servizi di meccanica e carrozzeria altamente specializzata.
Come sta cambiando la figura del direttore del personale rispetto alla rivoluzione epocale che stiamo vivendo nella società, nell’economia e nel mondo del lavoro? Si tratta di un ruolo chiave per gestire questa fase di cambiamento e transizione verso l’era della robotica e dell’intelligenza artificiale? Come diceva Bauman, oggi siamo di fronte ad una “società liquida”, dove trasformazione e flessibilità sono le leve di un dinamismo che a fatica si riesce a governare e dove risulta, per questo motivo, fondamentale saper cogliere sfumature e cambiamenti. Ecco allora che anche il ruolo dell’HR deve essere pronto in questo: da figura verticale, l’HR, diverrà sempre più una figura orizzontale e trasversale, andando ad analizzare dati e indirizzando le risorse ad un ambiente di lavoro in cui robot e automazione giocheranno un ruolo sempre più strategico e invasivo. In questo scenario apparentemente “postmodermo” l’HR dovrà far emergere, come l’arte maieutica socratica ci insegna, le competenze propriamente “Umane”: ideazione, comunicazione, analisi, fantasia e capacità di interpretazione. Design thinking, problem finding e problem solving, sono alcuni punti e pilastri che possono, attraverso una collaborazione a più livelli, non dico annientare (cosa impossibile), ma rovesciare la prospettiva di un mondo destinato per necessità alla cibernetica, alla robotica e all’ Intelligenza Artificiale. In altre parole, come altri hanno detto, “l’intelligenza artificiale è intelligenza umana oggettivata e arricchita da strumenti che consentono interazioni conoscitive senza sosta. Il passaggio logico successivo non può che essere il seguente: il rapporto uomo-macchina deve essere visto non in termini di conflitto, bensì di collaborazione reciproca e di feedback ripetuti, capaci di generare creatività”. Occorre insomma riscoprire il concetto ciceroniano di Humanitas, concetto che una macchina non potrà mai avere attraverso la formazione di un nuovo umanesimo.
Il tema del benessere in azienda è molto diffuso. Come si realizza in concreto e quali sono le leve da attivare? Il benessere o qualità della vita e quindi del lavoro, è un altro tema che da sempre l’uomo va ricercando. Al di là degli strumenti legati al welfare credo che, come prima cosa, occorra riscoprirsi innamorati del proprio lavoro. La dedizione alle cose e soprattutto alle persone, la ricerca di una conoscenza dell’altro che, come diceva Agostino, parte prima dal cuore che dalla ragione, sono in primis le leve sulle quali dobbiamo appoggiarci per trovare il vero benessere in azienda, ancor prima di qualsiasi benefit, premio o confort. Credo che oggi l’uomo avverta la necessità di essere ascoltato, riscoprendo il proprio ruolo, funzione e utilità all’interno del sistema azienda, distinguendosi appunto dalla macchina e dalla mera funzionalità e ingranaggio del sistema. Scoperto questo abbiamo trovato non solo il benessere, ma oserei dire una felicità piena ed appagante.
Il welfare aziendale è uno strumento di grande attualità che si sta sviluppando in modo capillare soprattutto negli ultimi anni. Tramite questi strumenti l’azienda ottiene una molteplicità di benefici con ricadute positive anche a livello sociale. Che ne pensa? Certamente le strategie messe in campo dal welfare vanno nella direzione di dare agevolazioni, potere d’acquisto detassato a beneficio sia dell’azienda, sia del dipendente. Credo che l’assenza di strategie politiche serie del lavoro, abbia portato le aziende a supplire in modo sempre più importante a molte necessità del dipendente. Ovviamente questo ha creato anche il beneficio di una fidelizzazione uomo-sistema, attraverso una diminuzione di turnover e assenteismo, a favore di una maggiore “attraction e retention” per l’azienda.
La dimensione spazio-temporale del lavoro e della sua organizzazione stanno cambiando. Il tempo e il luogo di lavoro sono sempre meno vincolanti, anche se non per tutte le realtà. Parliamo di smart working e di work-life balance. A che punto siamo? Lo Smart Working, o work-life balance aiutano il lavoratore a conciliare i tempi di vita con quelli professionali e, al contempo, favoriscono la crescita della personale produttività. Si innescano in un percorso di profondo cambiamento culturale e tutto ciò, richiede un’evoluzione dei modelli organizzativi aziendali. Tuttavia, occorre ricordare che in primis si tratta di un cambiamento culturale: occorre cioè creare organizzazioni più flessibili, introdurre approcci di empowerment, delega e responsabilizzazione delle persone sui risultati, favorire la crescita dei talenti e dell’innovazione. L’utilizzo di internet e dei nuovi mezzi di comunicazione ha permesso senza dubbio di ridisegnare distanze, cambiando la percezione spazio-temporale nel modo di lavorare e di fare impresa. Personalmente credo che questo sia utile a valido per alcuni ruoli e mansioni, ma rischiamo di perdere quel senso di appartenenza e condivisione del lavoro, spingendoci sempre più verso una forma di individualismo e mero funzionalismo. Ancora una volta è il modo classico a venirci in soccorso: i greci ben distinguevano Crònos da Cairòs: ovvero un approccio e bilanciamento tra quantità e qualità della vita, nulla di nuovo sotto il sole.
Nell’economia della conoscenza le risorse principali su cui investire e che rappresentano un vantaggio competitivo sono i talenti. Alcuni consulenti di McKinsey nel lontano 1997 hanno teorizzato addirittura la “guerra dei talenti” tra le aziende. Oggi parliamo di giovani talenti che appartengono alla generazione dei Millennials ma anche alla Generazione Z. Come si attrae e trattiene un talento e perché è così importante? Ancora una volta credo sia necessario mettersi in ascolto e andare a comprendere quali siano le vere necessità ed esigenze che spingono un “talento” a legarsi alla propria azienda. Dico questo perché il rischio di una “guerra dei talenti”, come ha ricordato lei è molto forte e presente. Non possiamo accettare che il mero stipendio, welfare e brand, siano le uniche leve su cui puntare. Ritengo occorra ripartire dai valori, parola col tarlo che già a pronunciarla si “sfarina”: comprendere ciò che davvero qualifica e fa la differenza, da ciò che invece appiattisce. Bisogna allora “con-vincere” ovvero vincere insieme, condividendo strategie e progetti, visioni e missioni, dove certamente retribuzione, brand e ruoli sono elementi importanti in termini di attrattiva e fidelizzazione, ma non determinanti. Occorre cioè riscoprire un’etica del lavoro a cui ancorarsi.
La robotica e l’intelligenza artificiale stanno progressivamente trasformando l’azienda e il lavoro. In che modo stanno cambiando anche l’attività della funzione HR? Ci sono già diversi ambiti di applicazione come per esempio nella fase di selezione del personale? L’intelligenza artificiale è approdata nel mondo del recruitment. La tecnologia è impiegata principalmente nelle attività di pre-screening e per facilitare l’attività di selezione, seguita dall’analisi automatizzata dei curricula e dei profili presenti nei data base aziendali. I vantaggi evidenziati dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale sono senza dubbio di tipo quantitativo e qualitativo. Tuttavia, non credo potranno sostituire quell’empatia e quella capacità d’indagine e di introspezione propri dell’essere umano. Terenzio diceva: Homo sum, humani nihil a me alienum puto». «Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano non mi appartiene».
L’azienda, a volte, si trova di fronte la necessità di procedere a licenziamenti collettivi. Come si gestisce questa fase critica? Un licenziamento è sempre un atto di rottura, per non dire drammatico, non solo per chi lo subisce, ma anche per chi lo attua. La Psicologia ci insegna che un lavoratore licenziato passa velocemente dallo sconforto e paura per il futuro, alla rabbia nei confronti dell’impresa considerata “colpevole”, ingrata ed ingiusta. Il mio consiglio è quello sempre di parlare ancora una volta con le risorse, accompagnarle attraverso un dialogo che non può prescindere dalla comprensione dello stato dell’altro. A questo, propongo di accompagnare il licenziamento, con servizi di outplacement e coaching al fine di sostenere il lavoratore e favorirne una veloce ricollocazione nel mercato del lavoro. In questo modo ne usciamo vincenti entrambi e davvero viene svolto in modo consapevole e arricchente il ruolo di HR.
Le relazioni sindacali in questi anni sono molto cambiate. La dimensione aziendale è sempre più importante. Quali sono gli elementi di innovazione che vede o che auspica nelle relazioni industriali? Molto spesso le rappresentanze sindacali svolgono un’azione non al passo con i tempi e soprattutto legata a ideologismi del passato. Occorrerebbe creare invece una partnership con l’azienda, attraverso un approccio costruttivo e superpartes, capace di affrontare le problematiche aziendali e del mondo del lavoro in modo serio e costruttivo. Questo non avviene e quel dialogo e confronto di cui accennavo prima, si traduce in un mero, quanto infruttuoso “do ut des”. Peccato.
Se fosse Ministro del Lavoro quale sarebbe il primo provvedimento che promuoverebbe? I latini dicevano “Unicuique suum” (a ciascuno il suo): il lavoro degli altri sembra sempre più semplice e più facile e, pertanto, mi limito a svolgere bene il mio, o quantomeno ci provo. Detto questo cercherei di ridurre la pressione fiscale su azienda e dipendenti. Mi pare un buon punto di partenza, convinto che dinamiche e prospettive, cambierebbero sorprendentemente e radicalmente.
Come e perché si decide, ad un certo punto della propria vita, di diventare direttore del personale? Come tutte le grandi “cose” (si legga vocazioni) non si decide, bensì si diventa perché lo si sente dentro. Non voglio sembrare fatalista: certamente la capacità decisionale, di intraprendere una strada piuttosto che un’altra, la tenacia e forza di perseveranza, come il coraggio di lasciare le cose stesse, è alla base non solo di un buon manager, ma anche di un uomo saggio. Credo che per entrambe le posizioni abbia ancora molta strada (per i greci il termine métodos, racchiude quello di odòs = strada) da percorrere e per questo amo ricordare: “Bisogna avere un cuore instancabile, i grandi progetti non si realizzano che a forza di tempo e di pazienza. Le cose che nascono in un giorno, si perdono nell’altro”. (Francesco di Sales).