Questa settimana la Guardia di Finanza, sotto mandato della Procura di Firenze, ha perquisito una dozzina di aziende in undici città di Italia, indagate per i rapporti finanziari da loro intrattenuti con Open, l’ex fondazione nata nel 2012 per finanziare l’attività politica di Renzi e nota per aver organizzato, almeno fino al 2018 (anno in cui è stata chiusa), i raduni della Leopolda, il tradizionale convegno fiorentino promosso annualmente da Matteo Renzi. L’indagine ha coinvolto anche lo stesso ex premier, insieme all’avvocato e suo primo finanziatore Alberto Bianchi, nonché all’amico Marco Carrai, ex membro del Cda di Open, ora indagati per traffico di influenze e finanziamento illecito ai partiti.
L’indagine è stata avviata due mesi fa, ma è diventata di dominio pubblico solo questa settimana, quando la Guardia di Finanza ha perquisito diverse aziende in Italia, come la farmaceutica Menarini o il gruppo autostradale Gavio, fino ad arrivare all’ufficio di Carrai, al quale è stato notificato un avviso di garanzia, perché sospettato di aver svolto un ruolo centrale nella gestione dei presunti finanziamenti “illeciti”. Più di 30 le perquisizioni eseguite in tutta Italia per sospetto riciclaggio e traffico di influenze illecite, nonché finanziamento illecito ai partiti (sebbene quest’ultima accusa sia stata al momento solo ipotizzata). La magistratura indaga dunque sul modus operandi della fondazione Open, che potrebbe aver agito come una sorta di articolazione di partito, venendo dunque “utilizzata – si legge sul sito Ansa – come strumento di finanziamento illecito”.
“Un massacro mediatico”. È questa la difesa via Facebook di Renzi che si rimette direttamente all’articolo 49 della Costituzione italiana. “E allora chi decide oggi che cosa è un partito? La politica o la magistratura? Su questo punto si gioca una sfida decisiva per la democrazia italiana” fa notare l’ex premier, specificando come i finanziamenti ad Open siano stati tutti tracciati e regolari. Il nodo dell’ingarbugliata questione sta infatti nella definizione stessa di fondazione e di cosa per quest’ultima sia o meno lecito. Di fatto utilizzare una fondazione “per raccogliere finanziamenti da usare nell’attività politica, invece che finanziare direttamente un partito (che è spesso più complesso e permette di esercitare minor controllo sui soldi) – fa notare Il Post – è una tecnica legale utilizzata da quasi tutti i partiti”.
“Due giudici fiorentini decidono che Open non è una fondazione ma un partito” ha sintetizzato l’ex premier, il quale ha ricordato agli utenti di Fb come l’indagine porti il nome dei pubblici ministeri Giuseppe Creazzo e Luca Turco, gli stessi “ad aver firmato l’arresto – sottolinea Renzi – per i miei genitori, provvedimento […] annullato dopo qualche giorno dai magistrati del Tribunale del Riesame”. Insomma, il leader di Italia Viva si difende a denti stretti e fa arrivare la vicenda anche in Senato, trasformandola in una questione di principio. Il presidente dei senatori Iv Davide Faraone ha infatti inviato alla Presidente Casellati la richiesta formale di “calendarizzare urgentemente – riporta Ansa – un dibattito in Senato viste le recenti vicende giudiziarie sulle regole del finanziamento alla politica e su chi stabilisce cos’è un partito e cosa no”.
L’indagine Open dovrebbe dunque – almeno stando a quanto sostenuto dai renziani – interessare la maggior parte dei partiti, per questo chiamati ad esprimersi in sede istituzionale sulla vicenda. Tuttavia, da parte sua, la magistratura sospetterebbe un uso illecito dei finanziamenti ricevuti dalla fondazione, forse utilizzati per il pagamento degli stessi parlamentari. In ogni caso, l’indagine è ancora ai suoi primi passi e bisognerà attendere che la magistratura faccia il suo lavoro per avere informazioni certe. Un’attesa della quale non sembra preoccuparsi troppo Renzi che su Facebook ha dichiarato: “Aspetteremo con un sorriso la fine delle indagini, i processi, le sentenze, gli appelli […] perché conosciamo la verità”.