“In Italia le scuole di cinema sono meno di quelle che dovrebbero essere, senza considerare poi il momento di grande sofferenza che sta vivendo il settore. Formare persone proponendo corsi professionali che, però, non portano a sbocchi lavorativi è grave. È un Paese che non ha nessuna proporzione tra le aspettative e ciò che può realmente offrire. Negli anni ci sono state molte, troppe scuole improvvisate o, comunque, non di grande levatura. In questo scenario la Scuola Nazionale di Cinema ha il vantaggio di avere una proposta molto strutturata con dei docenti di riferimento di prima grandezza per ogni settore. Sono delle personalità che hanno realmente lavorato nel mondo cinematografico con degli esiti palesi e di alto livello”.
Inizia così la mia intervista a Roberto Perpignani, classe 1941, uno dei grandi nomi del montaggio italiano, da anni docente al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma (www.fondazionecsc.it). Discutiamo del perché in Italia il mestiere del montatore non trovi molto spazio nell’ambito della formazione. Il più grande ostacolo da affrontare per chi decide di intraprendere questa professione è proprio la difficoltà nel trovare luoghi qualificati e competenti dove poter apprendere. “C’è un’aspettativa da parte delle persone che si vogliono formare e dunque cercano dei luoghi dove poterlo fare, ma gli istituti non a pagamento o le cui rette sono alla portata di chiunque sono pochi, pochissimi e hanno un numero contenuto di posti- spiega il presidente della FIDAC (Federazione italiana delle associazioni cineaudiovisive) – A noi accade, per esempio, di esaminare tra le 80 e le 90 domande all’anno, per poi poterne ammettere solo 6. Non sempre le Regioni o gli enti preposti alla formazione nei propri territori fanno il dovuto”.
Eppure, in ambito cinematografico, quella del montatore è una figura professionale di prim’ordine. Il montaggio, oltre ad essere operazione fondamentale nella fase di post-produzione, è ciò che dà senso e ritmo al racconto, assicurando una coerenza narrativa alle forme di rappresentazione. L’assemblaggio delle immagini, il loro accostamento, il rallentarne il flusso, i tagli o gli attacchi traducono delle scelte. Decisioni o, meglio, individuazioni di valori che possono dar vita ad un significato altro, “Spostare un attacco di pochi secondi, di pochi fotogrammi, cambia il risultato finale”. Per far ciò sarebbe auspicabile che lo sguardo del regista si fondesse con la sensibilità narrativa del montatore, che ne nascesse una collaborazione reciproca dove punti di vista diversi diventassero quel valore aggiunto necessario per la realizzazione di un prodotto finale di alto livello. “Nel sistema produttivo industriale si chiede al montatore di lavorare in parallelo: mentre si realizzano le riprese, si riceve il materiale che viene montato come da previsioni. In una situazione in cui il film è prettamente d’autore, invece, la collaborazione tra il regista e il montatore può portare all’individuazione di percorsi non necessariamente ovvi, ma che scaturiscono dalla creatività. La collaborazione partirà quando le due persone si incontreranno sui materiali girati, si interrogheranno sulle diverse possibilità e, quindi, si procederà alla creazione di un qualcosa che avrà un carattere diverso, prettamente autoriale”.
“Il contributo di un montatore è un contributo qualificato, non solo di mestiere, ma effettivo di interpretazione – precisa Perpignani- Quelli cinematografici sono tutti mestieri di collaborazione artistica, dunque, meno le personalità prevalgono sulle altre meglio è. Quando si collabora si è alla pari. Ci saranno delle aspettative, dei confronti, delle verifiche e dei controlli tra i vari professionisti. Ci saranno dei momenti di autonomia della collaborazione che, però, porteranno il contributo all’opera perché diventi comune. Tutti i ruoli sono co-autoriali. Un direttore della fotografia qualificato, per esempio, non solo aiuta il regista durante le riprese, ma dà le condizioni per realizzare ciò che ha in mente il filmmaker. Bisogna fornire un livello elevato ed evoluto. Quando lavoro, sono lì a dare il contributo più alto di cui sono capace e quindi il film si arricchirà anche della mia interpretazione”.
L’importanza della sinergia creativa che una collaborazione può portare è perno centrale anche del percorso formativo della Scuola Nazionale di Cinema, dove, oltre a formare giovani in grado di operare nel settore della post-produzione audiovisiva attraverso uno apprendimento teorico costantemente affiancato da programmi di applicazioni pratiche, l’Istituto si prefigge l’obiettivo di sviluppare le capacità collaborative degli allievi tramite laboratori e progetti che portino ad un confronto e ad uno scambio tra i vari settori. “Ieri mattina ero in proiezione con il regista Daniele Luchetti (ndr. Docente responsabile del corso di regia); stavamo visionando dei lavori sceneggiati, girati e montati dagli allievi, e insieme li commentavamo, ci sollecitavamo a vicenda affinché i ragazzi capissero il livello di aspettativa che noi proponevamo. È evidente che non si possono imparare le professioni senza una forma applicativa. Non esiste!” asserisce con convinzione Perpignani.