La spesa assistenziale potrebbe raggiungere risultati allarmanti più di quanto non lo siano già in questo momento. Dal 2008, anno in cui si pone l’inizio della crisi, l’aumento di questa voce per lo Stato italiano è stato del 58,9%, passando dai 73 miliardi di euro spesi 10 anni fa, ai 116 miliardi del 2018. E’ quanto emerge da una ricerca di Itinerari previdenziali, presentata al Cnel, secondo cui l’aumento medio della spesa assistenziale è stato del 5,3% annuo a fronte di una crescita della spesa previdenziale pura del 0,7% medio annuo.
Le cifre. La spesa assistenziale è fuori controllo, con i 116 miliardi di euro stimati a carico della fiscalità generale per la spesa sociale nel 2018, e un debito pubblico in continuo aumento, con gli interessi che, soltanto nello scorso anno, sono costati ben 62,5 miliardi di euro.
Il confronto. ”Dalla metà del 2014 fino alla prima parte del 2018, – si apprende dallo studio – l’Italia ha vissuto una fase di crescita positiva evidenziata sia da buoni dati sul fronte dell’occupazione, che ha toccato uno dei tassi più elevati di sempre (il 58,7%, con circa 23,223 milioni di occupati tra i 15 e i 64 anni), sia da segnali positivi per quanto riguarda la tenuta del sistema pensionistico. Nel 2018, il rapporto occupati/pensionati si è infatti attestato intorno all’1,45, valore più alto degli ultimi 22 anni e molto prossimo a quell’1,5 occupati individuabile come traguardo cui tendere per la stabilità di medio-lungo termine del sistema. Eppure, malgrado risultati apprezzabili dopo gli anni della crisi, non sono mancati allarmi da diverse fonti autorevoli”.
“L’occupazione – sottolinea il presidente Alberto Brambilla – non si crea in forza di legge, ma stimolando produttività e sviluppo che, ormai da troppi anni, sono a dir poco modesti in Italia. Non si può fare una colpa alla Commissione europea o agli organismi internazionali se su questi temi le valutazioni sono negative: da oltre 20 anni, manca una vera politica industriale, cui si sommano infrastrutture obsolete, una burocrazia spesso farraginosa, una spesa pubblica troppo sbilanciata sulla sola spesa corrente e una classe politica alla ricerca del (facile) consenso elettorale da raggiungere con promesse di assistenza e sussidi più che con azioni concrete a favore delle giovani generazioni e del sistema tutto”.
“Gli scenari per gli anni a venire – prosegue – sono solo in parte già definiti, lasciando dunque spiragli per un migliore sviluppo dell’Italia attraverso interventi che sappiano combinare evoluzione demografica, ripresa del mercato del lavoro, rilancio della produttività e dell’economia”. Se è, infatti, ad esempio vero che, “secondo le ultime previsioni, l’Italia è destinata a una crescita della quota anziana a fronte di una riduzione della popolazione complessiva, lo è altrettanto che adeguate politiche familiari e di conciliazione vita-lavoro per favorire l’aumento della natalità, da un lato, e una gestione dei flussi migratori coerente con le esigenze economico-occupazionali del Paese, dall’altro, potrebbero contrastare le più pessimistiche prospettive di declino demografico”.