La fotografia Istat sulla situazione economica del secondo trimestre 2019 non ha destato particolari attenzioni. In realtà , guardando ai nuovi dati in una prospettiva comparata di più lungo termine emergono parecchie sorprese non di poco conto che meritano di essere sottolineate. Analizzando alcuni macro indicatori economici, emerge un’immagine differente rispetto a quella che da anni ci siamo abituati a sentire e che continuamente condiziona le relazioni internazionali e le politiche del nostro paese.
Italia meno lumaca. Da troppo tempo siamo ritenuti dai commenti spicci degli esperti internazionali come eternamente fermi, totalmente incapaci di ritrovare gli slanci del passato. Ebbene, nei primi mesi di quest’anno l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil è stato pari all’1,1%, migliorando di 0,2 punti rispetto all’1,3% dello stesso trimestre del 2018. Complessivamente, nella prima metĂ del 2019, il rapporto deficit-pil è risultato pari al 4%, anche qui in calo a confronto con il 4,2% del corrispondente periodo dell’anno prima. Si tratta del miglior dato dal 2000. Complice la convergenza economica favorevole dal 2015, l’economia italiana ha dimostrato di poter finalmente crescere a tassi significativi, mai sperimentati da almeno tre lustri.
Un fardello per imprese e lavoratori. Tra i numeri aggiornati dall’Istituto c’è però anche la pressione fiscale, che è stata nel secondo trimestre pari al 40,5%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La ripresa italiana è stata trainata prevalentemente dall’industria manifatturiera e anche dal commercio all’ingrosso e al dettaglio, mentre il settore pubblico, quello delle costruzioni e le banche sono rimasti pressochĂ© fermi o ancora in calo. Fondamentale è dunque stato il ruolo cruciale svolto dal settore privato nello spingere la nostra economia nella fase della ripresa 2014-prima metĂ 2018. Alla prova dei fatti dell’indice di competitivitĂ fiscale a livello internazionale, l’Italia è ha il terzo sistema fiscale meno competitivo e neutrale a livello Ocse. Peggio sono solo Polonia e Francia.
Una politica miope e suicida. Non è una questione di partigianeria, le politiche economiche di espansione dei consumi, adottate per rilanciare la domanda interna privata dopo la crisi di consumi e investimenti determinata dalla doppia recessione 2009 e 2012-13, sono efficaci. La politica non può interrompere questa spinta alla crescita. Nel dettaglio, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato dello 0,9%, insieme alla 0ropensione al risparmio delle famiglie “E’ solo un effetto ottico. La crescita del potere d’acquisto dipende solo dal rallentamento dei prezzi. Purtroppo il dato significativo e preoccupante è che i consumi finali sono sempre al palo: salgono di un misero +0,1% sul trimestre precedente” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.
La lezione dei dati è molto semplice: se si dà respiro ad imprese e lavoratori, permettendo l’aumento del potere d’acquisto, l’Italia può tornare a crescere; se si blocca tutto in nome dell’austerity e della salvaguardia dei conti, il paese va verso la stagnazione.