I ribelli Huti il 14 settembre scorso hanno lanciato un’offensiva contro due stabilimenti sauditi della Aramco, dimezzando la produzione di greggio della più grande azienda petrolifera al mondo. È solo il culmine delle tensioni degli ultimi mesi che hanno provocato diversi momenti di nervosismo in Medio Oriente soprattutto tra Iran e gli Stati Uniti, questi ultimi condannano gli attentati e accusano il regime di Teheran di questa azione che ha fatto schizzare il prezzo del petrolio alle stelle, in controtendenza rispetto al rallentamento prospettato dai report economici.
È una situazione complessa, data l’imminente quotazione di Aramco sui mercati, la guerra in Yemen che vede contrapporsi i ribelli Huti, sostenuti dall’Iran, che hanno rivendicato gli attacchi, alle forze del Presidente Hadi sostenute dall’Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che però hanno interessi geopolitici ed economici diversi in particolare nella parte sud del paese yemenita. Emerge quindi un contesto molto frastagliato e conflittuale all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo che non riesce, anche a causa di queste divisioni, a limitare il ruolo dell’Iran che negli ultimi 5 mesi ha fatto salire di molto le tensioni internazionali con attacchi mirati a destabilizzare il mercato petrolifero.
Aramco. È la compagnia petrolifera più grande del mondo, ha sede in Arabia Saudita e nella prima metà del 2019 ha generato profitti per 46,9 miliardi di dollari nonostante un ribasso del 12% rispetto all’anno precedente. La compagnia di Stato saudita fondata nel 1933, nel 44’ firma una partership con gli americani diventando la Arabian American Oil Company fino a diventare, nel 1988, un’azienda di proprietà saudita al 100%. Ha il suo quartier generale a Dhahran ed è guidata da Amin H. Nasser Presidente e CEO, mentre “l’Aramco Supreme Council” è retto dal principe Mohammed Bin Salman, primo ministro e principe ereditario saudita.
Gli attacchi. I missili sono partiti dallo Yemen e l’attacco è stato rivendicato dai ribelli Huti con tecnologie di possibile provenienza iraniana. Sono stati colpiti i due stabilimenti di Abqaiq e Hijra Khurais, il primo un impianto di lavorazione mentre il secondo è uno dei più grandi luoghi di estrazione petrolifera dell’Arabia Saudita. L’attacco è stato sferrato il 14 settembre rispettivamente alle 3:31 e 3:42 ora locale, probabilmente con droni UAV X e ha dimezzato la produzione petrolifera di Riad che condanna il gesto e trova l’appoggio della comunità internazionale, in particolare quella degli Stati Uniti, che si scontrano violentemente con il regime di Teheran indicato come mandante dell’attentato.
Le reazioni internazionali. Subito gli Stati Uniti d’America hanno attribuito l’attacco all’Iran che nega fermamente ogni addebito, Mike Pompeo, Segretario di Stato USA, ha definito l’azione come un “atto di guerra” e il Presidente Trump, dopo aver annunciato l’aumento delle sanzioni nei confronti del regime di Teheran, rincara la dose, dichiarando in risposta alla questione che per gestirla: “ci sono molte opzioni, c’e’ anche l’ultima opzione”, riferendosi all’opzione armata. La Cina, che ha diversi accordi di collaborazione di natura energetica sia con l’Arabia Saudita che con l’Iran, invita “le parti rilevanti a evitare le azioni che portino a un’escalation delle tensioni regionali” pur senza individuare i responsabili mentre il presidente russo Vladimir Putin, dalla Turchia, risponde alle domande sugli attacchi alla Aramco citando il Corano: “Nel testo sacro del Corano si parla dell’inammissibilità di qualsiasi tipo di atto violento ad eccezione della difesa. Qui, per difendere la propria gente, il proprio Paese, siamo pronti a fornire un’adeguata assistenza all’Arabia Saudita” proponendo all’Arabia Saudita l’acquisto dei sistemi di difesa balisitici S – 300 e S – 400 russi.