Sono più ottimisti di noi. Si accontentano di avere poche ferie. Sono inclini a sacrifici e a lavori di fatica. Ma soprattutto hanno una cultura del lavoro molto diversa dalla nostra: già a sedici anni le responsabilità non li spaventano.
È questo il ritratto della nuova classe imprenditoriale italiana, costituita sempre più da titolari stranieri: sono venuti in Italia per cercare lavoro e ora sono loro a dare lavoro ai tanti italiani disoccupati per colpa della crisi economica. Ecco le loro storie e i dati sorprendenti della Camera di Commercio di Milano.
Un bar e quattro dipendenti sulle spalle di una teenager – Hui Zhen Zhu è una giovanissima imprenditrice cinese. Oggi ha 19 anni e gestisce da sola un piccolo bar in zona stazione Centrale a Milano. Quattro dipendenti al suo servizio: due cinesi, un’italiana e una rumena. Il suo locale è aperto sette giorni su sette, dalle sei del mattino all’una di notte: lei è sempre dietro al bancone, anche con l’influenza o la febbre.
“Per noi è normale così”, mi spiega la titolare dagli occhi a mandorla che non soddisfatta del suo lavoro, sogna di aprirne altri tre o quattro bar nel giro di un paio d’anni.
Alcuni numeri – L’economia milanese nel 2012 è rimasta in piedi proprio grazie a piccoli imprenditori stranieri, 26mila circa i migranti che hanno fatto impresa e, di questi, uno su cinque ha dato lavoro ad almeno un italiano. Senza di loro, secondo i dati della Camera di Commercio, sarebbero calate le 285mila imprese dell’1% e ci sarebbero state 2.600 imprese in meno in un anno. Le piccole imprese (ditte individuali) con un titolare straniero a Milano sono pari all’11% e occupano quasi 40mila persone (+4mila in un anno). Se consideriamo tutte le imprese (comprese Srl, Spa, ecc. con almeno la maggioranza di controllo in mano non italiana), il numero di tali imprese passa a oltre 34 mila, il 12% del totale milanese e il numero di occupati sfiora i 100mila (97 mila: +8 mila in un anno).
Ottimismo e coraggio battono la crisi – Quello che contraddistingue i nuovi imprenditori milanesi sembra essere uno sconfinato ottimismo nel mercato del lavoro. Forse manca il tempo per lamentarsi, ma nessuno di loro parla mai di crisi o di disoccupazione. Dora Pullen, per esempio, da due anni ha aperto un negozio di extensions alle porte di Milano. Sedute bianche, specchi, spazzole, tante parrucche colorate, sono gli strumenti da lavoro che le ha insegnato a usare la zia, quando – ormai 30 anni fa – abitava ancora in Nigeria.
Gestisce la sua attività e intanto cresce da sola anche un bimbo di sette anni. “Questo non è coraggio – dice -, ma voglia di essere indipendente”. Tre i collaboratori che sono passati da qui: un ragazzo filippino e due donne italiane.
La ‘felicità faticata’ dei migranti – William Mekhail Nabil, egiziano, mi spiega invece le sue regole da vero imprenditore: “Mai guardare l’orologio – dice – e mai farsi trovare impreparati”. Che in altre parole significa: sopporta orari di lavoro massacranti, ma sorridi sempre ai tuoi clienti. Nabil gestisce un bar, tabacchi e ricevitoria in zona Lorenteggio, a Milano. Da sei anni lavora con lui Valerio, un ragazzo di origini sarde.
“All’inizio non è stato semplice – dice il dipendente italiano -. La fiducia devi guadagnartela lavorando sodo. Col tempo, però, si è instaurato un bel rapporto tra di noi e ora mi sento parte della famiglia”. È lui che gestisce la cassa e gli ordini, anche perché i fornitori non capiscono bene la calligrafia e la lingua del suo titolare.
Un business plan alla cingalese – Warnakulasuriya Tharanga Sandam, 37 anni, ha invece aperto il suo centro estetico ‘Le sette meraviglie’ nell’hinterland milanese. Mamma di due bambine di 11 e 5 anni, Sandam è venuta in Italia dallo Sri Lanka in cerca di lavoro e ora è lei ad assumere italiani. “Ero stata lasciata a casa quando ho saputo da mia suocera che qui cercavano una dipendente”, spiega Francesca, da due anni al centro. “La busta paga qui arriva sempre puntale, cosa che di questi tempi sta diventando una rarità”, racconta ancora la lavoratrice italiana, specificando che in questo momento è meglio rivolgersi a titolari stranieri: “Sono seri e onesti”, dice.