Entro il 2050 in Italia ci saranno più pensionati che lavoratori. È questo il nuovo preoccupante allarme lanciato dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel rapporto Working Better with Age. Secondo l’organizzazione internazionale infatti, stando agli attuali sistemi pensionistici e all’andamento del rapporto tra tasso di natalità e mortalità, nei prossimi 30 anni il numero degli over 50 pensionati o inattivi «che dovranno essere sostenuti dai lavoratori potrebbe aumentare di circa il 40%, arrivando nell’aera Ocse a 58 su 100».
Nel 2050 il numero di pensionati in paesi come Italia, Grecia e Polonia potrebbe, secondo la relazione Ocse presentata a Tokyo, crescere tanto da superare il rapporto di uno a uno rispetto al numero dei lavoratori. In particolare, secondo i dati dell’Ocse, il numero delle persone over 50 non attive dal punto di vista lavorativo e quindi economicamente sostenute dai lavoratori potrebbe aumentare del 40%. Ovvero si passerebbe dal rapporto di 42 persone inattive su 100 lavoratori del 2008 ad un ben più rilevante 58 su 100 nel 2050 in media nei paesi Ocse. Si tratterebbe dunque di un cambiamento radicale del profilo occupazionale, nonché demografico dei paesi in questione, risultato della combinazione degli attuali sistemi pensionistici e del rapido invecchiamento della popolazione. In particolare, per l’Italia l’Ocse ha stimato che nel 2040 gli over 60 aumenteranno più del 11% passando dal 28% (rispetto la popolazione totale) del 2018 al 39,4% nel 2040. Dati ancor più significati se si considera la sempre più ridotta natalità; secondo l’Eurostat infatti nel 2050 nel nostro paese nasceranno solo 375 mila bambini.
L’invito ai governi è dunque quello di intervenire al più presto creando «maggiori e migliori opportunità di lavoro in età avanzata per proteggere gli standard di vita e la sostenibilità delle finanze pubbliche», oltre a promuovere migliori condizioni di lavoro in tutte le fasce d’età. Il rapporto ha infatti sottolineato l’importanza di attivare politiche in grado di rendere il lavoro meno gravoso per i dipendenti, ad esempio introducendo orari più flessibili e preservando la salute dei lavoratori. Un’azione combinata di questo tipo potrebbe infatti disincentivare i lavoratori dall’abbandonare la propria occupazione in età ancora attiva (come spesso accade ad esempio alle donne dopo i periodi di sospensione lavorativa per maternità) e soprattutto incoraggerebbe i lavoratori più anziani a rimandare la scelta del pensionamento. Anche in questo ambito, il rapporto mostra come nella maggior parte dei paesi Ocse, nonostante l’allungamento medio della vita e il miglioramento delle condizioni di salute nella terza età, l’età di uscita dal mercato del lavoro sia oggi comunque inferiore rispetto a quella registrata 30 anni fa.
La soluzione è promuovere “l’invecchiamento attivo”. Come dichiarato all’Ansa da Stefano Scarpetta, direttore dell’Organizzazione per l’Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali dell’Ocse, “il fatto che le persone vivano più a lungo e in una salute migliore è un risultato da celebrare”, ma dalle “conseguenze potenzialmente gravi “sull’equilibrio economico dei paesi interessati. Per questo dunque appare necessario, secondo Scarpetta, “un’azione politica concertata per promuovere l’invecchiamento attivo”. Il rapporto ha infatti evidenziato la necessità di investire, tra le altre cose, nella continua formazione dei lavoratori meno giovani, soprattutto dove essa è più carente per motivi generazionali, come ad esempio nell’ambito delle competenze digitali. In questo modo si permetterebbe ai lavoratori più vicini all’età della pensione di recuperare il gap generazionale esistente rispetto ai loro figli e nipoti, rendendoli così ancora professionalmente validi.