Il discorso tenuto questa mattina dal premier dimissionario Giuseppe Conte, in seguito alla decisione del capo dello Stato di conferirgli l’incarico ufficiale di formare il nuovo governo, segna di fatto il primo passo verso un’inedita stagione politica, quella dell’esecutivo giallorosso. Ma “il governo della novità”, come lo ha definito stamane Conte, ha già i suoi primi dissidenti in entrambi le forze politiche. Non solo Richetti e Paragone, dicono no alla nuova alleanza anche colonne portanti come Di Battista e Calenda.
“Impossibile allearsi con chi ha valori opposti”. Così l’ex titolare del Mise Carlo Calenda ha motivato in una lunga lettera al segretario Nicola Zingaretti e al presidente di partito Paolo Gentiloni le sue dimissioni dalla direzione del Pd. “Credo che la politica italiana abbia fallito perché non ha mai dimostrato di essere coerente. Io non ho intenzione di fare lo stesso errore” ha riassunto Calenda, la cui contrarietà ad un’alleanza con i pentastellati era nota da sempre. “La ragione è semplice – ha aggiunto l’ex ministro – penso che in democrazia si possano e talvolta si debbano fare accordi con chi ha idee diverse, ma mai con chi ha valori opposti” e annuncia la volontà di “costruire una casa per chi non si sente rappresentato”, forse alludendo alla creazione di un nuovo partito o più semplicemente alla sua militanza a fianco di Siamo Europei.
Meno radicale il no di Matteo Richetti. Ebbene sì, le voci fuori dal coro interne al Pd non si limitano a Calenda, sebbene nessun altro esponente sia arrivato ancora a dimettersi. È il caso del senatore Matteo Richetti, l’unico tra gli oltre 300 rappresentanti della direzione del Pd ad aver votato contro il mandato a Zingaretti per formare un governo con i Cinque Stelle. Richetti, unica eccezione a quella “straordinaria prova di unità” (utilizzando le parole di Gentiloni), intervistato da la Repubblica, ha infatti specificato che un’alleanza giallorossa sarebbe possibile solo nella formula di “un governo di altissimo profilo politico”, cosa ben diversa, dal “dover subire un veto dietro l’altro da Di Maio”.
Di Battista e la frattura nel M5S. Quasi paradossalmente risultano molto simili gli argomenti di chi tra i Cinque Stelle ha scelto di non dare la propria benedizione al governo nascente. Primo tra tutti, Alessandro di Battista, uno dei volti simbolo del Movimento, che proprio in questi giorni sembra essersi deciso a tornare in campo. “No ai Benetton, No a Malagò, No ai conflitti di interesse” tuona dalla sua pagina Facebook e lancia poi il guanto di sfida: “Io non ho sentito nessuno del PD pronunciarsi su questo in questi giorni.” Da qui il passo alla frattura interna con il Movimento è breve. Non si è fatta attendere infatti la risposta dei colleghi più vicini al presidente della Camera Roberto Fico, favorevoli all’alleanza con il Pd: “Chi esplicitamente sta perseguendo la strada del voto o del ritorno con la Lega contro la volontà del gruppo parlamentare e Di Beppe Grillo non può dettare condizioni a nessuno» ha dichiarato il presidente della commissione Cultura, Scienza ed Istruzione Luigi Gallo.
Paragone scettico a suon di musica. Si è aggiunta nelle ultime ore al coro dei dissidenti un’altra voce, quella di Gianluigi Paragone, che da facebook esprime la sua delusione citando Edoardo Bennato. “È il primo giorno però domani ti abituerai e ti sembrerà una cosa normale fare la fila per tre, risponder sempre di sì e comportarti da persona civile” canticchia il grillino in tono sarcastico e poi aggiunge: “I giornali già dicono che siamo bravi, responsabili, che siamo diventati civili come loro. Basta ‘vaffa’ adesso siamo civili, anzi forse noi civilizzeremo loro, chissà, chissà. C’è chi dice no? No, no”. Eppure, scetticismo a parte, c’è davvero chi dice no, e sebbene ancora poco si conosca sul futuro del neonato governo, non manca chi lo saluta piuttosto che come un nuovo inizio come la fine di un ideale politico.