Un ministro del lavoro “bellissimo”. Dopo solo 445 giorni finisce, nel peggiore dei modi, il mandato di Luigi Di Maio come Ministro dello Sviluppo Economico. Stando alle sue parole, sarebbe dovuto rimanere in sella per tutti e cinque gli anni della legislatura del “cambiamento”. In un certo senso è stato di parola: un cambiamento c’è stato, in peggio. I dati sulla condizione del mondo del lavoro – in un paese che, a dire del governo dimissionario gialloverde, avrebbe dovuto vivere “un anno bellissimo” – sono disarmanti.
Quota “380 mila”. Come riportato da molti quotidiani nazionali, la crisi di governo mette a rischio circa 380mila posti di lavoro. Il numero di tavoli delle trattative rimasti aperti al MISE è da capogiro. Se ne contano 158: da Whirlpool all’Ilva, passando per Bekaert fino ad Embarco. Non è stato fatto alcun piano assunzioni per lo sblocco del turnover nella sanità pubblica e nemmeno per i 55mila precari della scuola. Le ore di cassa integrazione autorizzate in giugno sono 27,6 milioni (+42,6% rispetto al 2018). Non si è neanche aperta la partita delle nomine dei vertici chiave della nostra economia – Eni, Enel, Enav, Leonardo. I dati su occupazione e crescita fanno impallidire al confronto con quelli europei, mentre un “vento gelido” dalla Germania soffia sulla nostra economia lo spauracchio della recessione.
Alla ricerca del decreto “salva-imprese” perduto. Ho sempre trovato erronea la concezione che si illude che il lavoro possa essere generato per decreto. Ho provato sincera preoccupazione nell’apprendere dell’approvazione di un ddl denominato “Dignità”, quasi a voler ritenere che tutto il pregresso del mondo del lavoro, dal 1946 al 4 marzo scorso, fosse stato indegno! Devo però ammettere che l’ultima impresa di far slittare la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto denominato “salva-imprese” – approvato definitivamente lo scorso 6 agosto – ha raggiunto picchi paradossali. Verrebbe quasi da ridere, se non ci fosse da piangere. La situazione è tragica ma non seria!
Riders a piedi. Teoricamente, siamo di fronte al provvedimento “bandiera” del mandato di un ministro, vicepremier e capo politico che ha dichiarato di voler “tutelare gli interessi degli ultimi”. Attorno al “ddl scomparso” ruotano i destini di 31mila lavoratori: fondi per aree di crisi industriale, la reintroduzione di un’immunità penale che può sbloccare il caos-Ilva, assistenza per i contratti di solidarietà della Whirpool e – udite, udite – le misure di regolamentazione del lavoro dei riders! Al momento del suo insediamento il ministro definiva i fattorini “il simbolo di una generazione abbandonata”. Poco più di un anno dopo, il testo di legge che dovrebbe essere la panacea di tutti i mali giace nel dicastero economico, abbandonato.
In molti hanno storto il naso nel vedere approdare al MISE un candidato con così scarsa esperienza politica, del mondo del lavoro e della gestione delle crisi aziendali. Il suo scarno curriculum veniva irriso dalla formula “primo lavoro: ministro del lavoro”. A giudicare dal suo operato in questi 14 mesi, verrebbe da chiedersi quando Luigi Di Maio comincerà effettivamente questo suo benedetto primo lavoro?