Come ogni anno sono stati di recente pubblicati i risultati del Global Innovation Index 2019 stilato da Cornell University, INSEAD e World Intellectual Property Organization (Organizzazione mondiale per la proprieta’ intellettuale) in partnership con altri istituti. L’indice si compone di due macro-categorie: input all’innovazione – ovvero le risorse che si dedicano – e output dell’innovazione – ovvero i risultati che si producono. A loro volta queste due categorie si compongono rispettivamente di cinque e due sottogruppi.
Chi entra nella top 10? Se la testa della classifica è saldamente nelle mani della Svizzera da oltre 5 anni, il resto del podio vede la Svezia e gli Stati Uniti sopravanzare l’Olanda che scende dal secondo al quarto posto precedendo il regno unito quinto. Chiudono le migliori 10 Finlandia e Danimarca che guadagnano entrambe una posizione rispetto al 2018, Singapore in discesa di 3 gradini e infine Germania e Israele stabilmente al nono e decimo posto. Se si analizzano inoltre gli ultimi 3 anni, si nota che le prime 10 posizione sono occupate dagli stessi paesi, a riprova del fatto che l’innovazione sua una tematica di medio/lungo periodo e l’eccellenza viene raggiunta attraverso sforzi profusi nell’arco di diversi anni. Sforzi che riguardano, tra gli altri, gli investimenti ma anche la legislazione e la fiscalità,
E l’Italia? Il belpaese si trova al 30esimo posto della classifica in maniera più o meno stabile rispetto agli anni precedenti (29esimo nel 2017, 31esimo nel 2018). Analizzando un po’ più a fondo i dati si può notare che l’Italia performa leggermente meglio nel sotto indice “output” dell’innovazione rispetto al “input dell’innovazione”. In altri termini, i risultati prodotti in innovazione dall’Italia sono in media superiori agli investimenti fatti. Se da una parte bisogna essere contenti per questa maggiore capacità nella generazione di innovazione, dall’altro lato bisognerebbe chiedersi se è sostenibile nel tempo o se invece non si tratta di una semplice inerzia prodotta dalle condizioni passate e che s’ destinata ad esaurirsi nel prossimo futuro.
Altri risultati interessanti sono quelli della Corea 11ima, della Cina 14ima nel ranking complessivo e prima tra i paesi a reddito medio a conferma degli sforzi che la repubblica popolare sta facendo per scrollarsi di dosso l’etichetta di paese poco innovativo con un sistema produttivo fondato su prodotti di bassa qualità e scarsa originalità. A riprova di ciò, guardando indietro, si può notare come la Cina negli ultimi 3 anni abbia già scalato ben 11 posizioni.
Perché questo indice è così importante? Almeno per due motivi: il primo, come detto, perché non è un indice facile da “muovere”. Servono anni di investimenti, legislazioni coerenti, credibilità e sforzi affinché si possano vedere dei risultati apprezzabili. Secondo motivo, e decisamente più importante, perché la velocità tecnologica degli ultimi anni e dei prossimi a venire fa si che l’obsolescenza tanto delle conoscenze quanto dei prodotti e servizi abbi cicli più rapidi. Specialmente per un paese evoluto, perdere terreno su questo campo significa mettere a rischio l’economia e la competitività delle sue aziende.