Alcuni punti fermi di questa crisi di Governo agostana prima di domani: il giorno della verità.
Perché Salvini ha innescato la crisi del governo gialloverde? I numeri, e quindi il peso decisionale di una forza politica, determinano le scelte di questa. E i numeri, in politica, solitamente corrispondono a due categorie: i numeri elettorali e i numeri parlamentari. Quando le due dimensioni coincidono le tensioni elettoralistiche sono generalmente sopite, quando, come nel nostro caso, divergono, cominciano le tensioni. Com’è noto a tutti, a poco più di un anno di questa legislatura, il peso politico ed elettorale della Lega di Salvini è esploso, non più solo nei sondaggi, ma ratificato dalle recenti elezioni europee in cui ha raddoppiato i voti e sembra veleggiare addirittura verso il 40% dei consensi. Un dato politico dirompente e che nessuna analisi obiettiva può sottovalutare o sottacere. Il boom salviniano, ed è questo l’altro dato dirompente, ha coinciso con il pesante ridimensionamento del Movimento 5 Stelle uscito vincitore appena un anno fa. Questi due fatti, intrecciati tra loro, hanno profondamente cambiato il quadro politico con inevitabili conseguenze sulla tenuta del governo Conte che prima o poi sarebbero deflagrate. C’è da discutere e valutare se i tempi e i modi della crisi innescata da Salvini siano stati quelli giusti (la stragrande maggioranza degli analisti e degli “addetti ai lavori”, è convinta che Salvini abbia commesso un errore in questo senso e le analisi più svariate su questa scelta abbondano), ma questo si vedrà nei prossimi giorni.
Le legittime convenienze. Di fronte questo scenario tutte le forze politiche in campo ragionano e si muovono, legittimamente, solo in virtù della propria convenienza elettorale. Dico legittimamente quando la convenienza elettorale coincide con l’interesse a realizzare il proprio programma politico, ovviamente. E’ chiaro a tutti che la Lega ha un interesse legittimo ad andare al voto per tornare più forte in parlamento e portare avanti con maggiore enfasi il proprio disegno politico nell’alveo naturale dell’alleanza di centro-destra con o senza Berlusconi. Per la ragione opposta i 5 Stelle hanno un interesse legittimo a non andare al voto e vedere così certificato elettoralmente e parlamentarmente il proprio ridotto peso e ruolo politico. In questo schema si inseriscono le differenti convenienze (o meno) elettorali delle altre forze politiche in campo, in primis il PD. Nel partito la crisi ha reso ancora più evidente la spaccatura tra le due anime che semplifichiamo in due nomi: Renzi e Zingaretti. L’ex segretario e premier “controlla” la maggior parte dei parlamentari piddini e non ha nessun interesse ad andare al voto ora, sia perché perderebbe la stragrande maggioranza dei parlamentari a lui vicini e sia perché i tempi non sono ancora maturi per il varo del suo paventato nuovo partito. Specularmente, l’interesse del nuovo segretario del PD Zingaretti è contrario a quello di Renzi e vorrebbe andare alle elezioni anticipate in modo da poter legittimare e completare la propria leadership anche in parlamento con un nuovo gruppo parlamentare da lui favorito. Anche perché appare chiaro a tutti che un segretario di un partito che non può fare sponda con i sui parlamentari nel gioco politico-istituzionale è un segretario fortemente ridimensionato e monco. Sulla convergenza o divergenza di questi interessi di parte (ripeto legittimi se ragioniamo in termini di realpolitik) si stanno definendo i possibili scenari di risoluzione della crisi, che al momento sembrano quattro: nuovo governo gialloverde (con o senza Conte), governo di scopo o istituzionale di breve durata, governo giallorosso (tra 5 stelle e PD eventualmente allargato alla formula prodiana “Orsola” con coinvolgimento anche di Forza Italia), elezioni ad ottobre.
Quale scenario prevarrà? Mai dire mai. A giudicare dalla narrazione prevalente di questi giorni sui media l’ipotesi del Governo giallorosso (5 Stelle-PD) sembra abbastanza accreditata, seppur tra mille difficoltà e con possibilità di varo tutte da verificare. Una riflessione, tuttavia, va fatta sul reale significato delle parole in politica. In questi giorni molti ricordano l’affermazione di Davide Casaleggio quando disse che se fosse stato fatto un accordo di governo con il PD lui sarebbe uscito dal movimento; oppure la mozione fatta firmare da Renzi nel suo partito in cui in sostanza si chiudevano le porte a qualsiasi accordo con i pentastellati. Di dichiarazioni forti e pesantissime accuse reciproche tra i due partiti in questione è piena la cronaca politica di questi ultimi anni. Accuse che descrivono l’avversario come il “male assoluto”. A questo punto che senso hanno, ad un giorno dalle dichiarazioni di Conte al Senato, il documento del gotha pentastellato riunito nella villa di Grillo in maremma cui si dice mai più con Salvini e le parole, sempre di oggi, di due ministri dei 5 Stelle, Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, che affermano che non faranno mai accordi con Renzi e la Boschi? Quando le scelte politiche sono dettate dalla primaria necessità di sopravvivenza politica tutto può accadere e quello che fino al giorno prima era il nemico politico non da sconfiggere ma addirittura da abbattere, oggi è un credibile alleato di governo. Queste giravolte dialettiche e di sostanza politica, unite anche ad altri fattori, potranno avere uno sbocco di governo e far prevalere l’interesse delle forze politiche allo stato perdenti dal punto di vista elettorale.
Alcune domande. Quali conseguenze avranno nel Paese e dal punto di vista del consenso elettorale la nascita di un governo 5 Stelle – Pd con la benedizione di Renzi, Prodi, D’Alema, Grillo, Fico e, forse, Berlusconi? Le elezioni porterebbero ad un riallineamento degli attuali rapporti di rappresentanza democratica tra paese e parlamento mentre il suo rinvio sarebbe una rivincita di “palazzo” degli attuali perdenti che ispirano le loro azioni al principio del primum vivere che in politica conta. Dal punto di vista democratico qual è lo scenario più giusto, tenendo conto che non è in pericolo la democrazia? Su quale base programmatica potrebbe nascere il governo giallorosso tenuto conto che su molti temi decisivi sono agli antipodi, vedi Josb Act di Renzi contro decreto dignità di Di Maio? La convergenza degli interessi degli “sconfitti” come Renzi e Di Maio prevarrà contro la convergenza degli interessi dei “vincenti” come Salvini, Meloni e il PD di Zingaretti (vincente su Renzi nel partito)?