In tema di orari di lavoro esistono moltissimi luoghi comuni su quali siano i cosiddetti paesi “stacanovisti” e quali invece gli “scansafatiche”. Tuttavia non sempre la realtà conferma le aspettative.
L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ogni anno monitora vari aspetti del mercato del lavoro di 37 paesi tra cui anche gli orari di lavoro e stila una classifica all’interno del documento finale (Employment Outlook) che spesso ha finito per sorprendere molti. Nello studio vengono presi in considerazione i contratti da lavoro dipendente considerando sia i contratti a tempo indeterminato sia quelli a tempo determinato. Sono inclusi nella base di calcolo anche il part-time e lo straordinario. Il totale viene poi diviso per il numero di lavoratori.
Cosa è emerso dall’ultimo rapporto? Secondo i dati consultabili anche sul sito dell’OCSE, il paese dove si lavorano più ore in un anno è il Messico (2.257 ore/anno) seguito da Costa Rica (2.179), Corea (2.014), Russia (1.980), Cile (1.954) e Grecia (1.906); mentre il paese dove si lavora il minor numero di ore annue è la Germania con “appena” 1.356, seguita da Danimarca (1.408), Norvegia (1.419), Olanda (1.433), Svezia (1.453), Islanda (1.461), Austria (1.487), Francia (1.514) e Regno Unito (1.681). Anche gli Stati Uniti, con 1.780 ore lavorate annualmente si classifica al di sopra della media. Mentre il Giappone, spesso citato come un paese dove si lavora molto, resta al di sotto della media con 1.710 ore.
E l’Italia? Il bel paese, con le sue 1.723 ore lavorate/anno, si colloca molto vicino alla media (1.759). Se tuttavia si limita il perimetro all’Europa ecco che l’Italia si posiziona invece tra i paesi con il monte ore annuo più alto. Sempre sul Sito dell’OCSE sono inoltre disponibili numerosi summary tra cui anche uno in italiano con numerosi commenti e considerazioni di carattere generale circa lo stato attuale e le prospettive dell’occupazione, dei salari, della contrattazione collettiva, delle politiche di welfare e di parità di genere.
Lavorare di più però non equivale ad essere più produttivi. Lo studio è molto chiaro su questo punto: “I Paesi dove si cumula il più alto numero di ore lavorate l’anno non sono quelli con i più alti livelli di produttività, né quelli che raggiungono i maggiori livelli di competitività, perché le forze in gioco sono costantemente rimodellate dall’introduzione delle soluzioni per l’industria 4.0 e delle nuove tecnologie della trasformazione digitale”.
Tra i suggerimenti in tema di rapporto tra quantità e qualità del lavoro, nel documento si legge: “le parti sociali possono e dovrebbero svolgere un ruolo importante nel garantire che l’offerta di formazione sia coerente con la domanda attuale e futura di competenze”. Così come il perseguimento di obiettivi di inclusione e giustizia sociale, attraverso “un’equa distribuzione degli incrementi di produttività e il sostegno alle persone che perdono il lavoro a causa del cambiamento tecnologico”.