Dal recente Rapporto sulle economie regionali svolto dalla Banca d’Italia, per l’economia molisana è emerso, nel 2018, un lieve segno di miglioramento dopo la flessione dell’anno precedente. I segnali di recupero, tuttavia, sono stati moderati ed hanno risentito, come nel resto del Paese, dell’indebolimento emerso negli ultimi mesi dell’anno. Anche la domanda interna è rimasta debole mentre, la crescita delle esportazioni ha contribuito solo in maniera limitata alla dinamica del prodotto anche a causa della ridotta apertura ai mercati esteri da parte dell’economia regionale. Partendo da questo scenario abbiamo intervistato il presidente di Confindustria Molise Vincenzo Longobardi che ci ha spiegato meglio le dinamiche dell’economia molisana, i punti di forza e le leve su cui puntare.
Dalla fotografia fatta dalla Banca d’Italia, l’economia molisana nel 2018 ha mostrato un lieve miglioramento. La domanda interna, però, è rimasta debole mentre, le espansione pur avendo registrato una crescita, hanno contribuito solo in maniera limitata alla dinamica del prodotto. Come commenta questi dati? Il punto è proprio questo. Si tratta di un unico dato lievemente positivo che non tuttavia ha recuperato le perdite dell’anno precedente. Mi sembra che sia più una frenata nella caduta che una crescita. L’export ha dato un certo impulso che sembra però episodico e non strutturale. Insomma siamo più su uno scenario di tenuta che in uno di crescita, tant’è che non vi è stata nessuna osmosi con il territorio. Non vi sono variazioni nei fondamentali e le aspettative delle imprese rimangono basse.
L’attività del settore industriale è tornata a crescere mentre la spesa per investimenti si è ridotta. L’edilizia continua a registrare segnali sfavorevoli anche a causa dell’elevato volume di immobili invenduti mentre il mercato del turismo ha permesso una moderata crescita delle attività dei servizi. Come rilanciare i settori più in difficoltà e come potenziare quelli più in salute? L’abbiamo affermato più volte ed in diverse occasioni. Ci troviamo in un sistema mondiale molto competitivo che è dominato da instabilità e cambiamenti. Le norme che regolano i sistemi produttivi e commerciali nel mondo sono differenti e sperequative. Non tutti giochiamo con le stesse regole. Un primo obiettivo da porsi deve essere quello di ridurre il peso burocratico che grava sulle nostre aziende e che si riflette in alti costi e bassa flessibilità. Un territorio ospitale alle imprese è già un chiaro elemento di competitività. La crescita passa dallo sblocco di opere e apertura di cantieri. Inoltre le moderne catene del valore richiedono sistemi logistici all’avanguardia che consentano di muovere persone e merci nel più breve tempo possibile al minor costo possibile e qui chiaramente il discorso si sposta sulle infrastrutture. Senza strade, ferrovie moderne e aree industriali ben servite non cresce né il turismo, né l’industria e né il commercio. Non dimentichiamo infine che i mercati di sbocco principali sono a Nord (Germania e Francia) e quindi rispetto alle regioni settentrionali siamo svantaggiati, ecco perché questo governo dovrebbe preoccuparsi dello sviluppo del sud, dello sviluppo di una rete infrastrutturale degna di questo nome. Anche le politiche fiscali giocano un significativo ruolo. Gli incentivi sugli investimenti attraverso il meccanismo dei super ed iperammortamenti hanno favorito e facilitato un profondo processo di rinnovo del parco macchine delle imprese da qui la spinta sugli assetts degli anni precedenti. Il venire meno di queste iniziative, in toto o in parte, ed il tentennare dell’azione politica, creano smarrimento e sfiducia nelle imprese che così rivedono i loro piani industriali al ribasso.
Il lavoro. Il mercato del lavoro ha registrato un aumento degli occupati mentre il tasso di disoccupazione è diminuito, soprattutto tra i più giovani. Nonostante ciò, i livelli occupazionali in regione restano al di sotto di quelli precedenti la crisi e della media nazionale. Quali politiche bisognerebbe mettere in campo per favorire il lavoro e l’imprenditoria? Non credo di svelare nulla di nuovo se dico che sono le imprese che creano occupazione e soprattutto buona occupazione. Ecco perché la politica deve indirizzare tutti gli sforzi in questa direzione. Bisogna avere coraggio. Bisogna dare competitività al territorio. Rendere il Molise un luogo dove fare impresa è agevole. Sul fronte dell’occupazione sicuramente l’introduzione della quota 100 ha favorito un certo ricambio e permesso così una riduzione della disoccupazione giovanile. Tuttavia il nostro territorio ha bisogno, prima che in altri, di una seria riduzione del cuneo fiscale insieme alla defiscalizzazione piena dei premi di risultato. Solo così si può ridare fiato ai consumi e competitività al costo del lavoro e quindi alle imprese. Anche il tema fiscale rimane bollente: va perseguita semplificazione degli adempimenti e razionalizzazione delle imposte; la rimodulazione dei sistemi di tassazione deve essere tale da sostituire con la crescita la caduta di gettito derivante da politiche fiscali espansive. A tutto ciò va abbinato un progetto di cultura d’impresa che si affianchi all’alfabetizzazione classica. Le competenze sono un fattore di competitività e su questo bisogna ancora lavorare.
I redditi delle famiglie molisane hanno ripreso a crescere mentre i consumi sono rimasti sostanzialmente in linea con i livelli dell’anno scorso. Sono cresciute anche le erogazioni di mutui per l’acquisto di abitazioni. A tal proposito, cosa ci dicono questi dati e come possiamo interpretarli? Fanno presagire un’ulteriore ripresa economica per la regione? Se da un lato sono dati positivi, questi vanno sempre confrontati con il resto del paese e con gli anni precedenti. Il Molise rimane una delle regioni più povere e con un reddito pro-capite ben al di sotto della media nazionale. L’aumento dei redditi è piuttosto da collegare all’aumento di occupati, il che è una buona notizia, ma bisogna poi vedere come si consolidano questi dati nel medio periodo. C’è evidentemente, da parte delle famiglie, maggior fiducia nel futuro, nel momento che si incrementano gli acquisti di fabbricati. È anche vero che siamo anche in un momento in cui i tassi dei mutui e i prezzi delle abitazioni sono crollati e l’offerta è sovrabbondante. Tutto questo non direi che è un po’ poco per far presagire una ripresa economica, perché i segni sono deboli e contrastanti. Direi piuttosto che si intravede una certa ripresa della fiducia da parte delle famiglie.