I quarantenni di oggi, coloro che hanno incominciato a lavorare dopo il 1996 e vedono il proprio assegno calcolato integralmente con il metodo contributivo, rischiano di non andare in pensione prima dei 73 anni. A lanciare l’allarme è la Cgil.
Una sorte, quella dell’accesso alla pensione così tardi, che rischia di toccare soprattutto a chi ha avuto un lavoro saltuario e scarsamente remunerato, specie se part time. Nel 2035, spiega il sindacato, per accedere al pensionamento prima dei 70 anni, precisamente a 69, saranno necessari almeno 20 anni di contributi e una pensione di importo sopra gli attuali 687 euro.
Per poterci andare a 66 anni, sempre nel 2035 e sempre parlando dei contributivi puri, serviranno 20 anni di anzianità e una pensione non inferire ai 1.282 euro di oggi. Per la pensione anticipata, invece, occorreranno 44 o 45 anni di contribuzione (rispettivamente se donna o uomo). Questo il quadro “stando ai vincoli introdotti dalla Legge Fornero”, ha spiegato Ezio Cigna, esperto di welfare della Cgil. L’area “più critica – spiega, – è senz’altro quella delle carriere discontinue con orario ridotto”.
Il sindacato ha evidenziato, inoltre, l’esistenza di altre categorie a rischio: una colf che ha iniziato a lavorare nel 2014 a 30anni con un reddito medio sotto gli 8 mila euro l’anno, nelle simulazioni della Cgil andrà in pensione non prima del 2057, a 73 anni, dopo 43 anni di lavoro e con un assegno intorno ai 265 euro al mese. Numeri allarmanti che portano la Cgil a rilanciare sul tema della pensione di garanzia, trovando un equilibrio tra contributi e vecchiaia. “Per noi dovrebbero essere assicurati almeno mille euro a chi somma 66 anni di età e 42 di anzianità”. Inoltre, per il sindacato, dice Cigna, è necessario “valorizzare a livello contributivo i periodo di stage, ricerca del lavoro, assistenza ai familiari”.