Si è da poco concluso presso il MiSE l’incontro di verifica dell’accordo del 6 settembre 2018, dopo la richiesta da parte di Arcerol Mittal (ex Ilva) di un periodo di 13 settimane di cassa per 1.395 lavoratori del sito di Taranto. Presenti al tavolo l’ad di Arcelor Mittal Matthieu Jehl, le organizzazioni sindacali di categoria Fim, Fiom, Uilm nazionali e territoriali, i commissari Ilva As Picucci e Fazio, alla presenza del Ministro Luigi Di Maio e del vice capo di gabinetto Fontana. Lo riferisce in una nota Fim Cisl.
L’incontro si è aperto con una preoccupante novità che riguarda l’atto della Procura di Taranto che decreterebbe lo spegnimento dell’Altoforno 2 (Afo2). Una notizia che, – commenta il segretario generale Fim Cisl Marco Bentivogli – insieme alla richiesta di cassa per fronteggiare il calo del 40% delle importazioni in Europa di coils, preoccupa moltissimo le Organizzazioni Sindacali. Il Ministro Di Maio ha comunicato durante l’incontro che il Governo sta interloquendo con la Procura e hanno chiesto di sospendere il provvedimento di spegnimento.
Per la Fim Cisl, il Segretario Generale Marco Bentivogli ha sottolineato la necessità, e l’urgenza, di rispettare le scadenze dell’accordo che va verificato e monitorato a livello di stabilimento, territoriale e nazionale. Siamo molto preoccupati – ha aggiunto il Segretario Fim – rispetto a quello che sta accadendo. La notizia di oggi del possibile spegnimento di Afo2 si somma agli altri problemi riguardanti la cassa e lo scudo penale, complicando non solo la gestione dell’accordo ma soprattutto il rilancio industriale e l’ambientalizzazione. L’incertezza sullo scudo penale che, ricordiamo, è solo temporaneo e limitato ai lavori che servono all’avpplicazione dell’Aia, va sciolta il prima possibile perché non si possono scaricare sui lavoratori, e sulle loro famiglie, i rischi della chiusura degli impianti e della perdita del lavoro in una zona del Sud del Paese con grossi problemi occupazionali.
Rispetto alla richiesta di cassa integrazione, riteniamo che l’azienda, partita con un livello occupazionale più basso rispetto alla precedente gestione, abbia già le necessarie flessibilità per affrontare il calo della domanda di acciaio, senza dover ricorrere agli ammortizzatori sociali. Per questo chiediamo il ritiro della procedura di cassa integrazione e l’impegno da parte di tutti a fare la propria parte senza scaricare su lavoratori e ambiente le proprie responsabilità. Anche perché è molto grave che l’azienda non abbia dato alcuna rassicurazione sul rientro alla fine delle 13 settimane dei 1395 lavoratori. L’accordo sul piano non ha compiuto ancora un anno, l’azienda è sottodimensionata, bisogna evitare azioni unilaterali che pregiudicherebbero la tenuta dell’intesa del 6 settembre 2018.