Sempre di meno. Siamo in crollo demografico. A constatarlo è l’Istat, Istituto Nazionale di Statistica, nel bilancio annuale pubblicato questa settimana. Rispetto allo scorso anno mancano all’appello 157mila italiani. Questa tendenza alla diminuzione è al quarto anno consecutivo – come se dal 2015 nel nostro paese fosse scomparsa una città della popolazione di Palermo (667 mila abitanti).
Un’assenza incolmabile. Il calo è interamente attribuibile alla popolazione con cittadinanza italiana, che rispetto allo scorso anno è diminuita dello 0,4%. Ad oggi risiedono nel nostro paese 60 milioni e 400mila persone, di cui quasi il 9% sono stranieri che non riescono più a fare da argine demografico. Nel quadriennio di declino demografico, i nuovi cittadini ad acquisire la cittadinanza sono stati 638mila, senza di loro dal 2015 avremmo perso 1milione 300mila abitanti su 60milioni – Milano, non Palermo. Abbiamo la presenza di 50 gruppi nazionali stranieri con almeno 10 mila residenti.
Partire è peggio che non nascere. Il calo demografico non è, dunque, solo attribuibile alla riduzione della natalità – cui fa da contrappeso il parallelo calo della mortalità. Come affermato dal presidente del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo “senza politiche familiari serie, strutturate e di sostegno alla natalità l’Italia è destinata a scomparire”. Il mercato del lavoro ancora troppo spesso considera la maternità un handicap. I servizi educativi e di cura per la prima infanzia accessibili e di buona qualità sono insufficienti. Permangono forti asimmetrie tra uomini e donne nella divisione del lavoro e delle responsabilità famigliari. Ma i dati dell’Aire, Anagrafe italiani residenti all’estero, mostrano il principale indiziato del declino: nel 2018 gli italiani che hanno lasciato il Bel Paese sono 157mila! E sono più di 5 milioni i cittadini italiani registrati come residenti in un altro paese. C’è un’altra Italia che vive al di fuori dei nostri confini, con oltre 50 milioni di italiani tra espatriati e nati fuori dall’Italia nel corso dell’ultimo secolo.
Chi se ne va che male fa. Nel nostro quadriennius horribilis si stima che siano emigrate circa 500.000 persone. La maggioranza sono giovani che non trovano in Italia opportunità professionali adeguate e portano altrove le proprie capacità, incluse quelle riproduttive. Spesso ad alta qualificazione: Istat indica che più di un italiano su due quando emigra ha almeno un diploma e sono sempre in aumento i laureati italiani che lasciano il Paese (nel 2016 +9%). Il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha sottolineato come “Tra i rischi per il paese vi è anche quello che i flussi in uscita riducano la creazione di impresa, poiché il tasso di imprenditorialità raggiunge il proprio picco intorno ai 45 anni ed è maggiore nelle regioni più dinamiche”. È fondamentale sensibilizzare l’opinione pubblica e pungolare il governo a intervenire contro la fuga, come fatto dalla campagna online dell’Ordine dei medici “Laureato a Bari, anestesista a Parigi. Offre l’Italia”. Ogni anno 1500 medici vanno a specializzarsi all’estero e non tornano. E non tornano. Costano all’Italia oltre 255 milioni.
Il calo demografico del nostro paese è figlio della fuga all’estero dei nostri giovani. Per una ripresa della popolazione, l’Italia deve rinascere economicamente. Deve trovare il modo di non costringere a partire i giovani italiani, permettendogli di realizzarsi e metter su famiglia in Italia. Perché come ha scritto Josè Sarmago: “Quando qualcuno emigra, pensa al paese dove forse morirà come al paese in cui condurrà la vita”.