Quasi nove imprese produttive italiane su dieci, l’87% per la precisione, utilizzeranno entro i prossimi tre anni robot di seconda generazione e sistemi avanzati in grado di automatizzare in maniera profonda l’attività industriale, consentendo a macchinari e dispositivi di prendere decisioni e compiere azioni in maniera autonoma, adattandosi ai cambiamenti della produzione o delle condizioni ambientali e lavorando anche in situazioni di rischio. Un valore, quello espresso dal manifatturiero nostrano, vicino alla media globale e addirittura superiore a quello rilevato in Giappone (dove si arriva al 72%), Regno Unito (75%), Stati Uniti (80%) e inferiore solo a Germania e Francia (92%) e alle capofila Cina (96%) e India (97%). Lo dice una recente indagine a firma di Boston Consulting Group (“Advanced Robotics in the Factory of the Future”, condotta su un campione di oltre 1.300 manager di imprese produttive di 12 diverse nazioni, Italia compresa), evidenziando come alla diffusa consapevolezza delle opportunità offerte dalla robotica avanzata fra i dirigenti di impresa corrispondano per contro solo pochi esempi di adozione strategica di queste tecnologie per sfruttarne a pieno le potenzialità.
Largo alle competenze multidisciplinari. Solo poche imprese, in altri termini, hanno pianificato le tappe per affrontare questo cambiamento e nello specifico solo l’11% delle aziende ha già introdotto con successo i robot di nuova generazione nelle fasi produttive e solo il 20% ha stabilito un piano per convertire la produzione nei prossimi 3-5 anni. La maggior parte delle organizzazioni, in proposito, confermano di essere frenate dall’attuale sistema di sviluppo delle nuove tecnologie (ritenute mature ed efficaci solo dal 30% del campione), sebbene il 52% dei dirigenti intervistati a livello globale consideri la robotica una parte essenziale della produzione industriale da qui al 2025 e l’86% intenda impiegarla nel proprio sistema produttivo entro massimo tre anni.
“Per la maggioranza delle aziende – ha spiegato Jacopo Brunelli– Partner e Managing Director di Boston Consulting Group – il modello di produzione abilitato dalla robotica avanzata produrrà una riqualificazione della forza lavoro e una nuova organizzazione della fabbrica. Aumenteranno i dipendenti più qualificati e con conoscenze interdisciplinari in grado di gestire i processi produttivi automatizzati e diminuirà, invece, la domanda di forza lavoro tradizionale. Rispetto al modello tradizionale, con poche persone al vertice e una base di operai che svolgono attività semplici e ripetitive, la fabbrica intelligente del futuro – ha concluso il manager – avrà una gestione più orientata alla motivazione, al lavoro di squadra e per obiettivi”.
Fabbrica intelligente cercasi. Nonostante le buone premesse, il ritratto che descrive il rapporto tra le aziende italiane e il paradigma Industria 4.0 scattato da Boston Consulting Group in collaborazione con Ipsos presenta ancora delle zone sfuocate importanti, che riflettono un approccio non ancora pienamente maturo a questa tematica. Nello studio “Il futuro della produttività. Diffusione e impatto di Industria 4.0” (condotto su un campione di 170 aziende appartenenti a oltre 20 diversi settori industriali) emerge infatti un’evidente spaccatura: il 22% delle nostre imprese ammette di non aver pianificato a breve alcuna implementazione delle tecnologie che abilitano la fabbrica intelligente contro il 78% di realtà che ha progetti in corso o in programmazione. C’è inoltre una seconda dicotomia, forse più preoccupante: se una consistente fetta di imprese percepisce le soluzioni di Industria 4.0 come un driver di competitività nei confronti dei concorrenti esterni e come leva per il miglioramento interno (soprattutto in termini di aggiornamento tecnologico), la messa in campo dei progetti riguarda invece attività a bassa complessità, e solo il 24% delle aziende promuove iniziative che vanno a toccare ogni punto della catena del valore, coinvolgendo anche fornitori o clienti.