C’eravamo innamorati del web ma ben presto abbiamo visto emergere, più o meno gradualmente, un bel po’ di problemi collegati al suo uso. Uno di questi è l’aggressività del linguaggio che si manifesta in modo eclatante sui social network.
Vero che il linguaggio aggressivo esiste da sempre e non è direttamente collegato all’avvento dei social, ma sono questi ultimi ad averlo evidenziato e potenziato nei suoi effetti offrendo spazio alle informazioni non verificate, spesso false, che in rete si moltiplicano a velocità vertiginosa. Quando Orson Welles annunciava, nel 1938 in una famosa trasmissione radiofonica, che l’America era stata invasa dagli alieni, già metteva il dito sulla piaga e dimostrava le potenzialità dei mezzi di comunicazione di massa e la relativa facilità a diffondere informazioni false. L’annuncio, infatti, grazie anche all’autorevolezza di Welles come conduttore, fu considerato credibile da molti cittadini che si chiusero nelle case spaventati o cercarono di fuggire chissà dove.
Verso un’involuzione del linguaggio. Oggi, ancora più di prima, il punto centrale è l’autorevolezza, la reputazione di chi comunica: i media tradizionali, per vari motivi, sono percepiti come meno credibili rispetto al passato; in televisione conta più farsi notare che saper parlare; nel settore editoria si afferma una divulgazione esageratamente semplificata. In molti campi inoltre, soprattutto sui social, c’è stata una sorta d’involuzione del linguaggio, con la conseguenza che tutti (s)parlano di tutto, spesso senza nemmeno le minime informazioni di base. Siamo partiti sostenendo (giustamente) che la gente deve potersi esprimere e siamo arrivati al punto che tutte le opinioni hanno lo stesso valore.
La politica fa la sua parte con una presenza massiccia sulla rete e l’uso ostentato di un linguaggio (anche corporeo) spigliato e diretto, che “piace” a parte della popolazione e però tradisce la complessità delle questioni affrontate. Il linguaggio della Politica è quello del potere, della persuasione, della competizione ed è prevalentemente involuto sia nel lessico – infarcito di parole basse, offensive, volgari – che nella sintassi, fatta prevalentemente di costrutti semplificati, disordinati spesso sconnessi.
Lo psicologo Robert Cialdini, nel suo “Le armi della persuasione”, sostiene che chiunque dovrebbe divenire esperto di persuasione, quantomeno per “difendersi” dall’involuzione del linguaggio e non subire gli eventi. L’uso intensivo dei social, inoltre, ha favorito l’affermarsi di atteggiamenti manichei, che non aiutano nella risoluzione dei problemi e anzi tendono ad aggravarli. In rete si commenta a ‘botta calda’, senza ragionare e verificare, ci si divide tra amici e nemici, si ostentano certezze sulla propria opinione e mancanza di riguardo verso le opinioni altrui, quando non insulti o addirittura minacce: è sempre più difficile discernere tra punti di vista fondati o meno, come s’è visto nella querelle sull’utilizzo dei vaccini.
Siamo sempre più vicini a quella condizione definita dagli studiosi del linguaggio PostTruth (post verità) in cui più che i fatti contano le emozioni, gli appelli personali (che si firmano senza leggere), gli “schieramenti” ideologici, i pregiudizi, i “like”. Non solo. Sulla rete, sempre più frequentemente, si parla degli altri invece che con gli altri e si è affermata la brutta abitudine di fare “incursioni” nei profili e spiare le vite altrui: un’invasione di campo che prelude, non di rado, ad altri problemi come il cyber bullismo.
In questa situazione occorre porre molta attenzione alla nostra reputazione on line, che è la somma di quanto gli altri dicono di noi, delle nostre attività dei nostri prodotti. Un tema attuale che non va sottovalutato. Resta da vedere inoltre come cambierà nel tempo il nostro modo di rapportarci agli altri. E comunque rimane aperta la domanda: come migliorare la comunicazione in Rete? Intanto è bene riaffermare con forza il valore del rispetto, primo requisito per un vero dialogo, come ci ricorda Abraham Maslow, padre della psicologia umanista. Occorre ridare alla comunicazione una prospettiva più ampia, fondata sull’ascolto, il dialogo e, conseguentemente, l’uso responsabile del linguaggio. Proporre una comunicazione che non si nasconda dietro l’anonimato e sappia invece ricercare, confrontare, costruire relazioni (che poi è, o dovrebbe essere, il principale scopo della Comunicazione). Inoltre, per non lasciare che la rete si trasformi sempre più in un campo di battaglia di opposte fazioni e di fake-news, utilizzate, in buona o cattiva fede per riaffermare la propia visione del mondo, è essenziale l’impegno delle grandi Internet Company (Google, Apple, Facebook, Amazon).
Due settimane fa il filosofo Bernard Henri Lévy, invitato a un convegno di riflessione organizzato da Google Europe, ha formulato una “modesta” proposta: creare un “Olimpo della vergogna” che, con la collaborazione dei maggiori giornali del Mondo e di chi usa il web, smascheri le false notizie almeno quelle più pericolose. Dal filosofo è arrivata anche una seconda proposta: creare – due secoli e mezzo dopo Diderot – un’enciclopedia autorevole e riconosciuta che sia “l’opposto di Wikipedia e del suo brodo di scarsa cultura”. “Chi, se non una delle grandi imprese di Internet – chiede Levy – ha il potere potenziale di riunire studiosi di tutto il Mondo e tutte le discipline e farli collaborare a un modello attuale di conoscenza?”
Intanto, in attesa di una nuova presa di coscienza e di una inversione di rotta, potrebbero essere utili nuove e chiare norme per il web; non roboanti ma semplicemente di buon senso: norme che riportino il web ad essere strumento di comunicazione accessibile e utile a tutti.