La maggioranza dei top manager Italiani, il 77% nello specifico, è dell’idea che la propria azienda non sia ancora pienamente preparata ad indirizzare le problematiche etiche legate all’adozione in azienda dell’intelligenza artificiale, della robotica e di tecnologie emergenti come l’Internet delle cose o la realtà aumentata e virtuale. Se la trasformazione digitale è considerata (a ragione) un passaggio obbligato per rendere più efficienti i processi operativi e per migliorare le modalità di lavoro di dipendenti e collaboratori, c’è un rovescio della medaglia di cui poco si parla, rappresentato per l’appunto dalle sfide di natura etica che accompagnano la diffusione e l’utilizzo delle nuove tecnologie. Un tema che interessa tutte le organizzazioni e che chiama le stesse ad agire rapidamente per affrontarlo in modo adeguato.
Italiani più attenti al tema. Uno studio a firma di Avanade, che ha coinvolto 1.200 executive e decisori It (di cui 100 in Italia) in tutto il mondo ha evidenziato in proposito uno scenario in cui le aziende corrono il rischio di mettere a repentaglio la fiducia di clienti e dipendenti e di veder diminuire i rispettivi fatturati. Ben l’82% dei manager intervistati a livello globale dichiara, in particolare, come l’etica digitale sia alla base di un corretto utilizzo dell’intelligenza artificiale, ma allo stesso tempo una quasi identica percentuale abbia seri dubbi circa la capacità della propria organizzazione di affrontare la questione. Con tutte le conseguenze del caso.
Analizzando nello specifico i dati relativi al nostro Paese, secondo gli autori del rapporto appare significativo il fatto che il 64% degli executive e dei manager informatici oggetto di indagine confermi di aver adottato all’interno della propria azienda misure specifiche (come linee guida e procedure ad hoc) volte a gestire e a monitorare l’applicazione dei principi dell’etica digitale per garantire un corretto utilizzo della tecnologia all’interno dell’organizzazione. Questa attenzione verso il tema della “digital ethics”, si legge ancora nello studio, è testimoniata inoltre dal 21% del campione italiano che ha ammesso di aver già affrontato sul posto di lavoro un dilemma etico causato specificamente dall’incremento nell’utilizzo delle tecnologie intelligenti o dell’automazione digitale, vedi per esempio la raccolta di dati personali attraverso dispositivi wearable o il ricorso agli algoritmi come supporto per i processi decisionali.
La figura del Compliance Offficer. Aaron Reich, Senior Director di Avanade Emerging Technologies e uno degli autori del rapporto, ha una convinzione ben precisa. “L’etica digitale – ha infatti confermato in una nota – sta rapidamente scalando la lista delle priorità nelle agende dei consigli di amministrazione e risulta oggi più rilevante rispetto al tema della sicurezza”. Una tendenza che spiega perché numerose organizzazioni hanno introdotto la figura del Compliance Officer e si prevede un aumento significativo delle posizioni senior legate al tema dell’etica digitale nei prossimi tre anni. Questi ruoli, ribadiscono gli esperti di Avanade, potrebbero avere un impatto in tutte le aree aziendali influenzate dall’etica digitale, tra cui il risk management, lo sviluppo del prodotto, il marketing, la gestione del marchio e della reputazione, la corporate citizenship e naturalmente la compliance.