Che Eurogruppo e Commissione abbiano deciso di accelerare il confronto con il governo italiano è peraltro anche dimostrato dal fatto che Tria, all’uscita dall’Ecofin, per la prima volta ha indicato che fornirà a Bruxelles nuovi dati prima di quelli di cui parla da qualche giorno, che riguardano maggiori risparmi e maggiori entrate, attesi a fine luglio.
A fine luglio, infatti, si sarebbe fuori tempo massimo perché a Bruxelles si vuole preparare tutto affinché l’Ecofin nella riunione del 9 luglio possa decidere eventualmente l’apertura della procedura contro l’Italia. Grossomodo si capisce che la Commissione potrebbe essere pronta per il 26 a presentare la proposta di atti formali per poi lanciare la procedura in assenza di novità da parte italiana. Sono questi gli elementi del braccio di ferro in corso.
Un ruolo importante dovrà giocarlo il premier Conte che la prossima settimana sarà a Bruxelles per il Consiglio europeo. La cosa certa è che il ministro Tria, di nuovo completamente isolato tra i ministri finanziari, non è riuscito a convincere i suoi ‘colleghi’ né tantomeno la Commissione né sul dettaglio sul calo del deficit/pil quest’anno di 0,2%, attorno a quota 2,1-2,2% invece che al 2,4%, né sui tempi dell’attesa di questi dati (appunto a fine luglio). Non che all’Eurogruppo muoiano dalla voglia di aprire la procedura per debito contro l’Italia: da un lato ci si rende conto degli effetti politici interni in Italia, dall’altro lato una decisione del genere è sempre un precedente che potrebbe valere in futuro per altri (una procedura sul debito non è mai stata aperta finora). Tuttavia le regole di bilancio non possono essere stralciate e l’Italia finora non ha indicato una soluzione per permettere a sé stessa come agli altri governi di salvare la faccia. Peraltro, lo scarto tra le cifre italiane e le cifre Ue sono dell’ordine dello 0,2-0,3% del pil (3,4-5,1 miliardi) e si potrebbe anche negoziare su molto meno.
Rispetto all’autunno scorso l’Italia non è sotto botta sui mercati (lo spread resta alto ma non ‘spara’ ancora più alto), però ciò che manca è un elemento di disciplina ‘politica’ sui conti pubblici: quella interna è in discussione (e contraddetta dai due partiti di governo), quella esterna è appesa all’applicazione delle regole del patto di stabilità. Dunque, tocca al governo italiano decidere e agire. Senza novità, l’apertura di una procedura può essere considerata certa, almeno a questo stadio. Nessuno parla di rinviare tutto all’autunno, quantomeno non alla Commissione e non all’Eurogruppo. Il problema è per il 2019, che secondo quanto risulta, potrebbe essere affrontato congelando un certo ammontare con una decisione formale da usare se non saranno centrati gli obiettivi di deficit. Sarebbe questa un’idea in circolazione che richiede un impegno esplicito. Sarebbe uno di quegli ‘elementi’ nuovi che farebbe arrestare la preparazione della procedura
Ma c’è anche dell’altro: a Bruxelles si guarda con preoccupazione al 2020, anno per il quale si condensano la ricerca di 23 miliardi al posto dell’aumento dell’Iva, il conto della ‘flat tax’ e la correzione strutturale del deficit dello 0,6% del pil, altri 10,8 miliardi. Una ‘manovrona’ di cui l’attuale governo non vuole assumersi la responsabilità, a meno di restare completamente fuori dal quadro Ue. Di fatto Commissione ed Eurogruppo spingono per ottenere un piano credibile, fondato su una serie di atti individuati, per assicurare un percorso di riduzione del debito, che contempli un programma di tagli strutturali. Nasce il problema: ci si può fidare delle promesse? Per ora la risposta è negativa, tanto che emerge l’idea di chiedere un pronunciamento formale del governo in quanto tale. (Radiocor)