Le reti mobili di quinta generazione, i sensori e l’Internet delle cose: un mix di tecnologie che promette di cambiare completamente faccia (e in parte lo sta già facendo) alla società e che nasconde, immancabilmente dei rischi. La sicurezza informatica – e il caso Huawei insegna – e la violazione della privacy degli utenti con un profilo digitale sono fra questi. Ogni nazione si sta “attrezzando” a suo modo per coniugare l’innovazione con il rispetto dei diritti personali e l’approccio della Cina è, per così dire, “particolare”. Guardando lo spot pubblicitario relativo al 5G di China Mobile, il più grande operatore di telefonia mobile del Paese del Dragone, si intuisce infatti come la polizia riesca ad arrestare un criminale grazie a telecamere dotate di riconoscimento facciale installate in tutti i luoghi pubblici. E non è mistero che la tecnologia per il riconoscimento facciale sia stata integrata in speciali occhiali in uso alle forze dell’ordine (nel caso specifico quelle di Zhengzhou, capitale della provincia di Henan, nel centro del Paese) capaci di comunicare con le banche dati dei ricercati e di riconoscere un volto sospetto in meno di 100 millisecondi.
L’accusa di Soros a Xi Jinping. Ben venga, verrebbe da dire. Ma se invece l’avvento della tecnologia mobile di nuova generazione aumentasse ulteriormente la già comprovata propensione del governo di Pechino a controllare severamente ogni forma di dissenso? Sulla questione si è espresso di recente, in occasione dell’ultimo Forum di Davos, anche un illustre esponente della società capitalistica occidentale, e cioè George Soros (presidente, fra le altre cose, anche della rete delle Open Society Foundations). Il suo pensiero? Presto riassunto. La Cina sfrutta le tecnologie più sofisticate a fini di sicurezza e di repressione del dissenso. Più precisamente, ha scritto il finanziere, “gli strumenti di controllo sempre più sofisticati che l’apprendimento automatico e l’intelligenza artificiale sono in grado di produrre stanno offrendo ai regimi repressivi un vantaggio intrinseco. Per loro, tali strumenti di controllo sono un aiuto, per le società aperte, invece, rappresentano un pericolo mortale”. E il riferimento esplicito di questa analisi è la Cina presieduta da Xi Jinping, che – parole testuali di Soros, “sta cercando di consolidare tutte le informazioni disponibili su un individuo in un database centralizzato per creare un sistema di credito sociale”.
Il riconoscimento facciale per controllare le minoranze etniche. Accuse pesanti, quelle che abbiamo riportato, e che pare abbiano trovato riscontro in un recente articolo, riportato a metà aprile dalNew York Times, secondo cui le autorità cinesi avrebbero iniziato a “educare” gli algoritmi di machine learning a riconoscere le persone su base etnico-razziale e più precisamente avrebbero utilizzato un sofisticato software di riconoscimento facciale per “registrare” il profilo digitale di mezzo milione di persone appartenenti alla minoranza musulmana degli Uiguri. Il tutto in una sola città e in un solo mese. A produrre la tecnologia in questione ci avrebbero pensato (il condizionale rimane d’obbligo) una serie di startup cinesi attive nel campo dell’intelligenza artificiale, sviluppando un sistema che sfrutterebbe le immagini (fotografie) raccolte dalla capillare rete di telecamere di videosorveglianza installate nel Paese per identificare gli individui attraverso i loro tratti somatici, monitorandone i movimenti e le occasioni di incontro. Non solo nell’area dello Xinjiang, dove gli Uiguri vivono, ma anche nel resto della nazione, e in particolare nei centri orientali di Hangzhou e Wenzhou e nella regione costiera del Fujian.
Il caso di San Francisco: bando alla tecnologia in nome della privacy. Dall’altra parte dell’oceano, quasi a voler “certificare” il pensiero di Soros, va registrato il caso di San Francisco, prima grande città americana a dire no al riconoscimento facciale per il controllo della popolazione, proibendo l’utilizzo di questo strumento a tutte le authority municipali, forze dell’ordine comprese (il provvedimento non interessa invece l’aeroporto internazionale). A prendere una decisione che in qualche modo fa storia è stato il Board of Supervisors (l’organo legislativo che fa le veci sia del consiglio comunale che di quello dell’intera contea circostante) della megalopoli californiana, perseguendo la necessità di difendere la privacy dei cittadini nei confronti di una tecnologia sicuramente promettente ma troppo invasiva, e quindi inadeguata per essere utilizzata senza il rischio di ledere diritti individuali delle persone. Una seconda esigenza è quella (confermata da vari studi e in particolare da un’indagine condotta dal Mit Media Lab di Boston) di evitare significativi errori di valutazione dei software di analisi dei volti, soprattutto quando si tratta di donne e di minoranze etniche (in particolare afroamericani) e di ridurre le possibilità di manipolazione di dati e informazioni in formato digitale. Sarà, quello di San Francisco, il primo passo in direzione di un (per certi aspetti clamoroso) dietrofront nell’adozione dell’intelligenza artificiale per motivi di sicurezza? Lo Stato del Massachusetts ci sta pensando e al Congresso di Washington è già stata presentata una proposta per impedire a chi utilizza a livello commerciale la tecnologia di “facial recognition” di raccogliere e condividere dati in grado di identificare e seguire le abitudini dei consumatori senza il loro consenso.
Un mercato milionario, e in fortissima crescita. Il rischio di una violazione diffusa della privacy, come è facile intendere, c’è e non riguarda solo la Cina. Come ha scritto il Sole24ore, la Georgetown University ha calcolato come ormai oltre i tratti somatici di oltre la metà dei cittadini americani siano memorizzati in qualche database governativo o di agenzie di sicurezza e intelligence, mentre almeno una dozzina di aeroporti Usa hanno già installato la tecnologia (con risultati efficaci solo nell’85% dei casi), oltre a diversi impianti sportivi e numerosi dipartimenti locali di polizia. Ad alimentare gli investimenti nelle tecnologie di riconoscimento facciale, del resto, ci sono le grandi multinazionali tecnologiche (Amazon, Microsoft e Ibm in testa) e come recita la società specializzata Grand View Research, il mercato della cosiddetta “facial biometrics” (che comprende sensori e telecamere, algoritmi e soluzioni di intelligenza artificiale) è destinato a crescere dagli attuali 137 milioni di dollari a 375 milioni entro il 2025.