Niente può cancellare un mito, un’immagine che si sedimenta così in profondità nel cuore da farlo sobbalzare ogni volta che lo sguardo ci si imbatte. Difficilmente l’occhio, percorrendo l’A-14 all’altezza dell’uscita di Imola, può non scorgere una biglia gigante, monumento ad un campione indimenticabile: Marco Pantani. Le mani sul manubrio, in piedi sui pedali e la maglia rosa, per l’occasione non gialla come il colore tradizionale dello sponsor che veniva dalla sua terra. Per sei anni, quelli del trionfo e del declino, la sua squadra è stata la Mercatone Uno. Se il ricordo del “pirata di Cesenatico” durerà in eterno, la storia della società imolese è sparita in un attimo.
Doveva essere l’Ikea italiana, venerdì è stato decretato il fallimento da parte del Tribunale di Milano della Shernon Holding srl, la newco che nell’agosto del 2018 aveva rilevato – dopo il dissesto per il quale sono indagati con l’ipotesi di bancarotta fraudolenta ex soci e amministratori – lo storico marchio romagnolo da anni sotto amministrazione controllata. I 1.800 dipendenti hanno scoperto di notte su Facebook e Whatsapp il crack del gruppo con la chiusura dei 55 punti vendita sparsi sul territorio, di fronte ai quali i sindacati sorpresi hanno improvvisato sit-in di protesta.
Se ne va un modello di business, quello di Romano Cenni, che aveva funzionato per più di 30 anni. Dalla manifattura di mobili alla grande distribuzione, il fondatore imolese, scomparso nel 2017, che sognava di far concorrenza ai colossi della grossa distribuzione non alimentare con lo slogan “L’Universo del risparmio” pensato per catturare i desideri dell’arredamento del ceto medio.
Scompare ogni fugace dubbio sulla capacità della nostra politica di comprendere, pianificare ed intervenire a sostegno della nostra impresa con una pianificazione industriale adeguate. Ci sono tante colpe istituzionali per la mancanza di controllo sul fallimento del Mercatone Uno: in questi mesi recenti, sugli spasmi della società e, negli scorsi anni, sulla cessione alla Shernon. Senza distinzioni di colore politico e senza farsi distrarre da slogan e rimpalli di colpe, la Procura ha evidenziato come fin dall’inizio la holding maltese dimostrava di avere scarse risorse finanziarie. L’ad, Valdero Rigoni, aveva già guidato la Ctf Italia Srl, società nel 2014 e la Shernon in soli 8 mesi ha accumulato 90 milioni di debito. Eppure i tre Commissari nominati dal Ministro dello Sviluppo Economico nel 2015, dopo un’interminabile procedura concorsuale, hanno selezionato proprio la Shernon. Eppure nessuno si è preoccupato di monitorare ed assistere l’agonia di un’azienda simbolo.
Ai tempi di Facebook e WhatsApp, non sembra esserci più spazio nella politica nostrana per una seria pianificazione industriale.