Roma. La sentenza della Cassazione sulla cannabis light ha decretato ieri che vendere i derivati della cannabis rappresenta un reato, aggiungendo salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante. Una decisione che potrebbe avere dei riflessi importanti anche sul fronte occupazionale?
L’avvocato Mario Fusani dello studio GF Legal spiga “come l’impatto di questa sentenza potrebbe interessare alcune decine di migliaia di persone in Italia, al di là delle effettive motivazioni che non sono ancora note e che potrebbero meglio tarare la portata della sentenza. I lavoratori coinvolti da questa decisione spaziano dai coltivatori, agli esercizi commerciali che vendono il prodotto. La maggioranza è rappresentata da piccole imprese, considerato che i grandi gruppi della grande distribuzione pare non si fossero ancora impegnati in questo comparto. Rispetto ad alcuni anni fa, – continua Fusani– la modifica introdotta dal cosiddetto Jobs Act di renziana memoria sicuramente permette di applicare alcuni ammortizzatori sociali anche alle piccole imprese (fino al 2015 escluse) che subiranno le conseguenze di tale sentenza. In tal senso, il diritto alla Naspi, la vecchia indennità di disoccupazione, dovrebbe essere percepibile anche se l’estrema giovinezza del settore non consentirà di puntare al periodo massimo di 12 mesi di assegno, considerato che il medesimo è proporzionale all’anzianità”.
“Da questi strumenti, però, saranno esclusi i diretti titolari delle micro aziende, che non sono lavoratori subordinati. E ciò vale sia per le imprese agricole familiari, sia per gli esercizi commerciali. Anche da un punto di vista sociale, – rincara l’Avvocato di GF Legal –per l’estrema frammentazione del comparto sarà difficile immaginare una mobilitazione efficace che porti il Ministero dello Sviluppo Economico o il Ministero del Lavoro ad aprire un tavolo di confronto. A parte qualche prevedibile mobilitazione, il dubbio consiste nel capire se in termini sia di popolazione sia di durata della mobilitazione si raggiungeranno dei livelli tali da far muovere l’apparato esecutivo affinché questo intervenga con un ulteriore supporto sul fronte dell’occupazione. Ciò ovviamente a prescindere dalle eventuali iniziative sul merito della questione, la legittimità o meno dell’uso della cannabis, che indirettamente potrebbero avere impatto anche sui lavoratori comunque addetti.
La posizione del professor Giovanni Serpelloni favorevole alla Sentenza. Già capo del Dipartimento politiche antidroga della presidenza del Consiglio (dal 2008 al 2014), oggi diviso tra l’impegno come senior fellow del Drug policies institute all’Università della Florida e direttore del Dipartimento delle dipendenze di Verona, in un’intervista ad Avvenire, lo scienziato afferma: “Semplicemente, che la cannabis light è una droga. D’altronde se si fuma abitualmente la cannabis light e si incappa in un test della polizia stradale, si risulta positivi. Questo non lo dice nessuno, però, nei cannabis shop. Niente da stupirsi, visto che la maggior parte dei prodotti che vengono venduti sugli scaffali recano la scritta ‘non ad uso umano’. E invece vengono fumati, inalati, ingeriti. La sentenza della Cassazione è una pietra tombale su una deriva molto pericolosa e mette più al sicuro i nostri ragazzi“.