Partiamo dal fondo, dal monito che il leader cinese Xi Jinping ha lanciato, dalle colonne del South China Morning Post, intervenendo a un evento nella provincia di Jiangxi, con a suo fianco il responsabile delle negoziazioni con gli Stati Uniti, il numero due del Governo di Pechino, Liu He: “La Cina è di nuovo pronta a intraprendere una nuova Lunga Marcia”. Per “Lunga Marcia” si intende la storica ritirata intrapresa dall’Armata Rossa del Partito comunista cinese nel corso della guerra civile del 1934 e l’allusione – per quanto priva di riferimenti diretti – suona per molti come un chiaro segnale di resistenza nel braccio di ferro con Washington. E che a “ispirare” l’ultima uscita di Xi Jimping sia stata la presa di posizione di Google e degli altri giganti tech americani nei confronti di Huawei è facilmente intuibile.
Chi paga le conseguenze? Gli effetti legati alla decisione della casa di Mountain View di sospendere a Huawei, a partire da fine agosto in virtù della tregua di 90 giorni subito concessa dopo il varo del provvedimento, la licenza a pagamento del sistema operativo Android (quella che si porta dietro in modo integrato le app per accedere a Gmail, Maps e al negozio Google Play, mentre l’altra open source resterà liberamente a disposizione), sono diversi. Tutti importanti e tutti una diretta conseguenza del bando voluto dal Presidente Trump. Per i consumatori che hanno acquistato o vorrebbero acquistare uno smartphone o un tabler del produttore di Shenzen si profila l’incertezza circa gli aggiornamenti (che Huawei ha ufficialmente garantito senza specificare come avverranno e quando) dei vari software di BigG installati. Per Huawei si ventila un possibile duro colpo alle mire di diventare il vendor numero al mondo nei telefonini, ipotizzando che la “sanzione” inciderà parecchio sulle vendite fuori dalla Cina dei futuri prodotti dell’azienda. Sui legami commerciali fra Huawei e il gotha dell’industria tech a stelle e strisce (Google, Qualcomm e Intel, e quindi Microsoft, che ha rimosso nelle ultime ore dal proprio store ufficiale il MateBook X Pro, il laptop di punta di Huawei, tra l’altro molto venduto anche in America) si accavallano ombre minacciose e per i rapporti fra Cina e Usa vale, per il momento, la dichiarazione che abbiamo riportato in testa al pezzo.
Operatori mobili in “scacco”. C’è infine un ulteriore effetto a cascata, che agli addetti ai lavori non è certo passato inosservato: alcuni operatori di telefonia mobile britannici, come EE (Gruppo Bt) e Vodafone, e giapponesi, Kddi e SoftBank (seconda e terza compagnia di Tlc del Paese), hanno annunciato di posticipare il lancio dei nuovi smartphone (compresi i modelli 5G) targati Huawei. Sempre in Inghilterra, come ha riportato la Bbc, il costruttore di chip Arm, di proprietà della giapponese Softbank, ha messo in stand by le attività di business in essere con l’azienda cinese per essere conforme alle imposizioni degli Stati Uniti. Il motivo? La necessità di valutare attentamente l’impatto delle misure decise da Trump, che sostanzialmente dicono questo: nessuna azienda statunitense può fare affari con Huawei, salvo non ci sia un esplicito permesso governativo. I portavoce di Huawei, a più riprese (anche prima della bomba di Google), hanno puntato sul ruolo apicale che l’azienda gioca nello scacchiere dell’innovazione, facendo intendere che senza i loro apparati di rete (di cui sono il primo fornitore al mondo, per quanto non li esportino negli Usa) si rischia di frenare in modo sostanziale lo sviluppo delle nuove reti e di tutto l’ecosistema che gli gira intorno.
Chi rischia di più? Giustamente, dopo le prime reazioni a caldo, c’è chi fa i conti in tasca ai due contendenti. Nel 2018, Huawei ha acquistato componenti per 70 miliardi di dollari da 13mila fornitori diversi e circa 11 miliardi li ha spesi per approvvigionarsi da decine di aziende statunitensi, dai chip di Qualcomm, Intel e Broadcom ai software di Microsoft e di Google. Può l’industria della Silicon Valley permettersi di stornare una cifra simile dalla voce ricavi? Difficile. Il paradosso di Google è sintomatico: l’azienda californiana (informazioni non ufficiali) intasca circa 40 dollari per ogni smartphone su cui gira Android in Europa e solo nell’ultimo trimestre del 2018 Huawei ha portato sugli scaffali del Vecchio Continente qualcosa come 13,3 milioni di telefonini. A Mountain View si concederanno il lusso di questo mancato guadagno? Non lo sappiamo. Sappiamo che le due aziende stanno cercando di trovare una soluzione al problema e che Google ha dalla propria l’asso nella manica di un software (Android) utilizzato nell’80% degli smartphone in circolazione. Huawei ha messo nel mirino da tempo Samsung, da anni regina di questo mercato, e senza Android perderebbe probabilmente di vista l’obiettivo. E per questo, crediamo, tenterà di evitare che la frattura risulti definitiva.