Uno studio di Boston Consulting Group ha stilato una classifica dei paesi dove è più facile trovare lavoro. Dopo esser partiti dai dati EUROSTAT di disoccupazione di 152 paesi che vedono in testa la Norvegia seguita da Svizzera ed Islanda con tassi di disoccupazione estremamente bassi ed in continua decrescita, l’indicatore chiave per stilare la classifica è stato il SEDA (Sustainable Economic Development Assessment) che analizza 40 fattori tra cui infrastrutture, salari, sistema scolastico, sanità, sicurezza ma anche politiche ambientali e ottenimento dei necessari permessi. In questa classifica l’Italia si posiziona al 30° posto mentre i paesi più appetibili risultano Malta, Islanda, Regno Unito. In un contesto caratterizzato da differenze così marcate e da limitate barriere allo spostamento, grazie alle politiche europee e non solo (vedi ad esempio Schengen) volte a favorire la libera circolazione, con sempre maggiore facilità’ di accesso alle offerte di lavoro grazie a siti internet e motori di ricerca dedicati è inevitabile vedere dati in crescita quando si analizza il numero di persone che cambia paese.
Qual è la dinamica di domanda e offerta? Secondo i dati del portale Eures, dove sono anche pubblicate molte offerte di lavoro, gli italiani sono al primo posto in valore assoluto per la ricerca del lavoro seguiti da Spagna, Francia, Portogallo e Romania. Mentre i paesi con il maggior numero di offerte di lavoro sono la Germania con oltre il triplo delle offerte di lavoro pubblicate rispetto alla seconda e alla terza (Regno Unito e Paesi Bassi) e quasi dieci volte maggiore rispetto all’Italia.
Quali sono i punti forti degli Italiani? Maggiore apertura significa certamente più possibilità. Basti pensare a come la ricerca del lavoro si sia evoluta negli ultimi decenni e quanto oggi si facile accedere ad offerte di lavoro per Parigi, Londra o New York da qualsiasi parte del mondo. Allo stesso tempo bisogna anche rendersi conto che è aumenta a dismisura la “competizione”, specialmente se si considerano i paesi più ambiti per qualità della vita e livelli retributivi. Se da una parte gli italiani sono certamente riconosciuti per la loro innata creatività che li rende ottimi problem solver e anche per le loro doti relazionali che li facilitano nel teamworking, dall’altra parte la conoscenza delle lingue resta un tallone di Achille insieme ad una percezione di minore efficienza (seppur non sempre reale). Va da se che le candidature che più avranno successo all’estero saranno quelle per posizioni in cui sono cruciali i punti di forza.
Bisogna rinunciare a qualcosa quando si va all’estero? Ogni scelta implica una rinuncia. Certamente uno dei temi più discussi è relativo alla protezione del lavoro. Su questo argomento si può leggere “Lavoro all’estero, miti e falsi miti”. Di sicuro ogni cultura ha le sue peculiarità nella vita quotidiana ma anche nel mondo del lavoro, la maggiore internazionalità e l’apertura di cui si parlava prima ovviamente hanno molto smussato le differenze, specialmente se prendono in considerazione le grandi aziende multinazionali. Tuttavia, con un esempio un po’ banale, una buona percentuale di Inglesi pranza ancora mangiando un tramezzino davanti al pc mentre gli Italiani preferiscono spesso uscire dall’ufficio e fare una pausa. Inutile dire che non esiste giusto e sbagliato ma semplicemente, come recita un antico detto popolare, “paese che vai usanze che trovi”.