Ernesto Ciorra si occupa di Innovazione e Customer Strategy dal 1997. E’ Managing Partner di Ars et Inventio, società che ha fondato nel 2003 ed è divenuta divisione d’Innovazione del Gruppo BIP nel 2007. Ha studiato con i suoi colleghi oltre 100 gruppi creativi esterni alle imprese, 250 aziende leader dell’Innovazione e 60 tecniche per nutrire la creatività. Ha progettato strutture organizzative e strumenti per gestire l’Innovazione, diversi piani di azioni innovativi per le principali società di credito, tlc, elettronica di consumo, media, energia e gambling. Coautore del primo libro italiano sul CRM, autore di diverse pubblicazioni sull’innovazione, è docente in diversi Master, tra cui quello in Innovazione Strategica dell’Università Cà Foscari e quello in Innovation Management della Business School del Sole24Ore. Insegna Innovation Management anche all’Istituto de Empresa di Madrid. Ha pubblicato tre raccolte di liriche, alcuni interventi di critica letteraria ed è autore di un testo teatrale rappresentato in diversi teatri italiani.
Dottor Ciorra, voi siete una sorta di paladini del nuovo, ossia aiutate le imprese a innovare. In che modo Ars et Inventio, detto in parole semplici, realizza la sua mission?
Diamo metodo (ars) alle aziende, affinché l’innovazione (inventio) dei propri collaboratori trovi spazio, venga alimentata e riconosciuta, e crei un valore economico tangibile per gli azionisti. L’innovazione, così come il Marketing, la Finanza e gli Acquisti, può essere assegnata ad una Funzione dedicata (il Chief Innovation Officer), affinché la gestisca con processi, strumenti, metodologie peculiari. Per riuscire nel nostro intento, studiamo dal 2003 come sono strutturati i leader dell’Innovazione, ed abbiamo codificato principi e pratiche dell’Innovation Management, disciplina che stiamo importando in Europa. Insegniamo questa materia presso Business School ed Università come Cà Foscari di Venezia, Sole24Ore ed Istituto de Empresa di Madrid.
Le parole d’ordine del vostro lavoro sono: innovazione e creatività. Perché sono così importanti per un’azienda?
Perché il mondo cambia molto velocemente, e non ci si può permettere di rimanere fermi. Sei anni fa, durante un convegno, ho fatto presente a Blockbuster che avrebbe chiuso, se non fosse diventato un noleggiatore online. Il loro amministratore delegato ha sorriso, e mi ha risposto che la soddisfazione dei loro clienti era altissima, e che i negozi erano un valore irrinunciabile! Ho risposto che l’innovazione è il vento, mentre la customer satisfaction è la mano che consente di non sentirlo sul viso. Ad oggi sembra proteggerci, ma quel vento passa, e ci lascia da soli ed indietro! Se ci fermiamo, l’innovazione altrui si porta via i nostri clienti, anche quelli oggi molto soddisfatti!
Come si declina in un’organizzazione aziendale l’innovazione? In altre parole, quali sono gli strumenti dell’innovazione e della creatività?
Ne abbiamo codificati circa 60, lungo la nostra INNOFORMULA (INNOVATION = CREATIVITY X EXECUTION X APPEAL). Ci sono strumenti trasversali, come i Key Performance Innovation Indexes: indici per misurare efficacia ed efficienza sull’innovazione. Misurare, infatti, aiuta a orientare l’azienda verso una creatività che crei valore. Ci sono poi strumenti ad hoc per la creatività, come le tecniche da insegnare ai manager per gestire le riunioni in maniera diversa, per usare il pensiero in forma alternativa a quella occidentale classica: induttiva o deduttiva. Altri strumenti aiutano l’execution, spesso penalizzata dalle limitate risorse allocabili alle idee non prevedibili in fase di budget. Per evitare questo inconveniente, alcune aziende hanno una tassa sull’innovazione sui principali centri di spesa: va destinata ad attività non utili ai fini dei risultati dell’anno in corso, e non prevedibili in fase di budget, e va spesa di concerto con il Chief Innovation Officer. Infine, sono utilissimi gli strumenti per misurare e stimolare l’appeal delle idee creative, che per diventare innovative debbono piacere ai clienti, finali o interni all’azienda.
Ci sono delle resistenze all’innovazione? Il nuovo, che coincide spesso anche con l’ignoto, fa sempre paura. Prevale, nelle nostre aziende ancora una forte “cultura della paura”?
C’è un sacro terrore che aleggia nelle aziende italiane: quello di contrariare il capo o di proporre idee “fuori dal coro”. Conosco leader d’azienda che spingono i propri collaboratori a “pensare diverso”, a dialogare, a discutere la verità in continuazione, per ampliare i propri orizzonti mentali. Sono degli affamati di verità, consapevoli che il piacere è nella ricerca, non nel conseguimento di un illusorio risultato finale. Uno di questi è Francesco Starace, AD di Enel Green Power. Ha la capacità di formarsi una propria visione della realtà e di iniziare immediatamente a metterla in discussione, a non considerarla come un postulato. Altri capi d’azienda, ed è purtroppo spesso la norma, vivono di paradigmi, di aleatorietà rese costanti con finzioni d’intelletto, utili solo per calmare la loro ansia, per soddisfare il proprio desiderio di numeri, di “punti fermi”. E pretendono di dare e ricevere dai propri collaboratori delle certezze. Ma “l’unica certezza della vita è il cambiamento”, come scrisse la poetessa Marina Cvetaeva, e nelle aziende questa è, purtroppo o per fortuna, l’unica ammissibile costante degli ultimi dieci anni.
Chi è il Chief Innovation Officer? Possiamo parlare di una nuova professione strategica da suggerire ai giovani come opportunità professionale?
Sì, certamente. Esiste da molti anni in aziende straniere come Avent, Coca Cola o Procter&Gamble. Recentemente anche alcune aziende italiane leader, come Unicredit, si sono dotate di questa figura. Che risulta preziosa, non perché gestisca in proprio l’innovazione, ma perché la stimola, la facilita, la nutre, la alimenta e fa germogliare. L’innovazione è una sottile pianticella, che per crescere e fortificarsi ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura, dalla nascita alla raccolta dei frutti. Il Chief Innovation Officer serve (anche) a questo: se un collaboratore dell’azienda ha un’idea, sa a chi darla, avendo la certezza di ottenere una risposta, di esserne riconosciuto autore, di poterne discutere con chi può migliorarla, venendo chiamato a realizzarla e sapendo che avrà una corsia “accelerata” in termini di carriera, se grazie a lui l’azienda sarà più innovativa e ricca. Il Chief Innovation Officer non necessariamente è colui che innova, ma è il facilitatore principe, il regista delle idee delle persone che collaborano dentro e fuori l’azienda, affinché questa diventi più innovativa. Il regista di idee che per diventare innovazioni debbono affrontare tanti “idea killers”, costituiti soprattutto da paradigmi, certezze, disillusioni, ironia e conseguenti strali altrui. Perché l’innovazione ha tre momenti: prima fa ridere, poi viene attaccata, infine è “ovvia”, quasi banale.
Qual è il ruolo delle risorse umane di un’azienda per lo sviluppo dell’innovazione?
E’ cruciale: consiste nel progettare l’innovazione, in termini di struttura organizzativa deputata a gestirla, di processo, strumenti e sistema incentivante per alimentarla. Inoltre, debbono creare una cultura forte e flessibile, in grado di difendere le gracili idee nuove dagli strali dei benpensanti che le vorrebbero morte. Quei benpensanti conoscono troppo bene come va il business per avere la lucida follia di ammazzare il modello esistente e crearne uno nuovo. Ma se non lo fanno loro, saranno i competitor ad occuparsene! Le risorse umane, che preferisco chiamare “persone che aiutano i colleghi dell’impresa” (risorse richiama “cose”, persone ricorda “cuori”, desideri), hanno il ruolo fondamentale di custodi e difensori della cultura della passione, del rischio, del coraggio, di sostenere idee fuori dal coro, a dispetto del passato, delle regole dominanti, delle certezze che certi capi cercano e vogliono sentirsi dire.
Se dovesse indicare dei grandi esempi d’innovazione e creatività, chi o cosa segnalerebbe?
Ho conosciuto un campione assoluto della creatività, un genio: Alda Merini, che mi ha anche dedicato un libro: La vita facile. E l’ho amata: come donna, scrittrice, madre che amava dei figli che le erano stati tolti. E non credo ci sia più dolorosa esperienza del perdere i propri figli per manifesta incapacità di non poterli accudire, allevare, tenere, sebbene li si ami più di se stessi. Eppure Alda scrisse: “Più bella della mia poesia è stata la mia vita”. Cosa c’è di più innovativo di chi, a dispetto del dolore patito per tanti anni, riesce a celebrare il mistero e la gioia della vita? Dovremmo imparare da lei, noi che ci rattristiamo per cose di poco conto. Se tutti nel mondo decidessimo di essere più felici, d’incanto e d’improvviso, forse tutto il mondo diverrebbe diverso e veramente nuovo. Questa è l’innovazione che immagino: “la creazione di un mondo migliore a cui tutti vorremmo appartenere”.
2 commenti
ma chi è questo?
… peccato che già nel 2006 Blockbuster era presente nel mercato del noleggio on-line.
caro mattia, una cosa è essere presenti, un’altra è volerlo veramente considerare come l’unico business da lì a 3 anni, ridisegnando dunque azienda, investimenti e cultura per trasformarsi da gestore di negozi a gestore di informazioni…