Adnkronos. Il green è il nuovo eldorado dell’occupazione italiana visto che, da oggi al 2023, ogni 5 nuovi posti di lavoro creati dalle imprese attive in Italia 1 sarà generato da aziende ecosostenibili. Si tratta di un numero di nuovi posti di lavoro oltre il 50% in più di quelli generati dal digitale, che non riuscirà ad andare oltre 214mila nuovi occupati, e il 30% in più di quelli prodotti da tutte le imprese della filiera salute e benessere, che si attesterà a quota 324 mila assunzioni.
Sempre più “green”. I dati, elaborati dal Sistema Informativo Exclesior, sono contenuti nel Focus Censis – Confcoperative “Smart &Green, l’economia che genera futuro” presentato questa mattina a Roma. La transizione verso un’economia pulita, argomenta lo studio, “sta determinando una modifica strutturale all’interno dell’occupazione nei paesi avanzati e in quelli emergenti”. Il bisogno di competenze green e l’adozione di tecnologie nuove nel campo della sostenibilità “rappresentano alcune delle tante derive che stanno accompagnando la generale riconversione dei modi di produrre” e, di conseguenza, l’orientamento della crescita economica perseguita a livello globale.
“Nel 2017 – sottolinea Maurizio Gardini, presidente di Confrcooperative – la stima economica degli effetti disastrosi di eventi collegati al cambiamento climatico ha raggiunto i 290 miliardi di euro. In uno scenario di ulteriore riscaldamento, le stime convergono su una media annua compresa fra i 120 e i 190 miliardi di euro. Evitare tali costi, potrebbe incrementare, entro il 2050, il Pil dei paesi G20 del 4,7% netto”.
I numeri della “rivoluzione green”. Partendo dalle stime di crescita del Pil italiano, elaborate dal Fondo Monetario Internazionale, il Sistema Informativo Excelsior prevede che, fra il 2019 e il 2023, il fabbisogno complessivo di nuova occupazione possa raggiungere i 2 milioni e 542mila unità, con un tasso medio annuo di crescita, nel periodo considerato, pari al 2,21%. Scomponendo il dato per competenze, filiere e settori, l’occupazione in ambito ecosostenibile (green skill, sviluppo dell’economia circolare, ecc.) coprirebbe una quota pari al 18,9% sul totale del fabbisogno generato fino al 2023.
Il focus di Censis – Confcoperative mette in evidenza che, in termini assoluti, il volume di lavoro attivabile con questo profilo di competenze sarebbe pari a 481mila unità (poco meno di 100mila unità annuo). Il digitale – che rappresenta l’altro grande trend innovativo per le competenze richieste – presenta un fabbisogno complessivo di 214mila occupati, mentre la filiera ‘salute e benessere’ svilupperebbe, al 2023, circa 324mila occupati, con un valore medio annuo di 64mila unità.
Riguardo i numeri legati all’economia green, il settore dedicato all’offerta di beni e servizi con l’obiettivo di proteggere l’ambiente e di limitarne uno sfruttamento non sostenibile ha generato in Italia, nel 2017, un valore della produzione per 78 miliardi di euro. E l’occupazione collegata con il settore delle ‘Eco-industrie’ ha raggiunto nello stesso anno le 388mila unità di lavoro. Il Rapporto riferisce che il valore aggiunto ha superato il 36 miliardi, con un incremento in termini assoluti, rispetto al 2014, di oltre 3 miliardi di euro. Fra il 2014 e il 2017 il settore ha fatto registrare una crescita del 4,6% delle unità di lavoro, dell’11% del valore aggiunto e del 3,6% del valore della produzione.
Nel Rapporto Censis-Confcooperative si evidenzia inoltre che fatto 100 quest’ultimo indicatore, la quota del 50,7% è riconducibile ad attività di conservazione, mantenimento e miglioramento dello stock di risorse naturali, mentre la quota restante (49,3%) è imputabile ad attività di prevenzione, riduzione ed eliminazione dell’inquinamento e del degrado ambientale. Il peso del settore è in sostanza pari al 2,4% del valore complessivo dell’economia italiana.
Il dato occupazionale, spiegano gli analisti dello studio diffuso da Censis e Confcooperative, si distribuisce in maniera leggermente diversa rispetto a quanto riportato per il valore della produzione: la gestione delle risorse naturali occupa infatti oltre 202mila unità di lavoro, corrispondenti al 52,2% del totale del settore, mentre le attività di protezione ambientale coprono il restante 47,8%, che in termini assoluti corrispondono al poco più di 185mila unità di lavoro. Il peso sull’occupazione complessiva, sempre in termini di unità di lavoro, è pari all’1,62%.
L’inserimento del sistema industriale italiano all’interno del nuovo paradigma eco-innovativo è confermato dai dati, resi noti dall’Istat, di un’indagine realizzata nel 2017 presso un campione di imprese manifatturiere chiamate a rispondere sulle iniziative adottate per far fronte a esigenze di sostenibilità e responsabilità ambientale e sociale.
Fra le diverse tipologie di comportamenti prescelti dalle imprese, il 55,9% del campione si è concentrato sulla riduzione dell’impatto ambientale della propria attività; questo valore relativo cresce al crescere della dimensione d’azienda, arrivando al 70,3% fra le più grandi. Seguono nell’ordine: la rilevanza sociale dell’attività aziendale (48,8%), una pianificazione di lungo termine, in grado di valutare in maniera corretta le ricadute dell’attività produttiva anche al di fuori del perimetro aziendale (45,2%), il coinvolgimento dei portatori di interesse (stakeholder) nelle decisioni aziendali (30,2% sul totale delle imprese, il 44,9% fra le più grandi).
Gli investimenti in processi di economia circolare interessano invece il 13,4% delle imprese e anche per questa tipologia di iniziative la diffusione fra le imprese maggiori appare più estesa (26,5%). Gli investimenti delle imprese industriali italiane per la protezione dell’ambiente hanno superato, nel 2016, la soglia 1,4 miliardi, con un incremento sull’anno precedente del 2,3% (Fonte Istat). La performance di crescita ha riguardato in particolare le tipologie di investimenti in attrezzature e impianti collegati alle tecnologie pulite (a tecnologia integrata), che costituiscono un terzo del totale degli investimenti e sono cresciute in un anno del 12,9%.
A essere virtuose sono soprattutto le grandi imprese, con 250 addetti e più, che coprono il 78% del totale. La spesa corrente per la tutela ambientale da parte delle imprese ha toccato nel 2016 i 3 miliardi e 261 milioni di euro, di cui: gestione dei rifiuti (un miliardo e 297 milioni), gestione delle acque reflue (811 milioni). Il 55,9% delle imprese si è concentrato sulla riduzione dell’impatto ambientale della propria attività; il valore relativo cresce al crescere della dimensione d’azienda, arrivando al 70,3% fra le più grandi. Infine, gli investimenti in processi di economia circolare interessano il 13,4% delle imprese e anche per questa tipologia di iniziative la diffusione fra le imprese maggiori appare più estesa (26,5%). Premio di produttività per le imprese più impegnate nella sostenibilità: + 10,2% rispetto a chi non ha attivato iniziative di sostenibilità.