La modifica unilaterale del piano ferie di un lavoratore da parte del proprio datore di lavoro è legittima, ma deve essere comunicata tempestivamente. Se ciò non avviene, ha di recente stabilito il Tribunale del Lavoro dell’Aquila, l’eventuale assenza non può essere contestata e giustificare un licenziamento. S. B., addetta al reparto casse di un supermercato aquilano, era in ferie dal 17 al 23 ottobre 2016; in realtà, a sua insaputa, il suo piano ferie era stato cambiato dal direttore e, una volta rientrata, le è stato irrogato un licenziamento disciplinare per assenza ingiustificata.
La sentenza risolve a favore della Lavoratrice una questione di fatto non troppo complessa, che però consente di approfondire il tema della sussistenza della motivazione del licenziamento disciplinare. Approfondimento importante, dato che nell’archetipo implementato dalla legge Fornero, come noto, la reintegra non costituisce più la sanzione principale e può essere riconosciuta solo in ipotesi particolari, tra le quali la c.d. “insussistenza del fatto contestato”: la decisione aquilana consente di ragionare proprio intorno a quest’ultima nozione.
È evidente come la condotta contestata fosse reale, posto che nessuno, nemmeno la Lavoratrice coinvolta, poteva negare di non essersi recata al lavoro nel periodo esaminato. Ma perché un fatto contestato possa ritenersi reale, e dunque legittimare un licenziamento, tutto questo non basta: la condotta deve infatti sussistere in ogni sua componente (soggettiva ed oggettiva) ed essere rilevante sotto il profilo disciplinare. Il fatto disciplinarmente rilevante deve infatti costituire un grave inadempimento degli obblighi assunti in virtù della sottoscrizione del contratto di lavoro (nel caso in esame dell’obbligo di essere presente sul luogo di lavoro nel rispetto di un determinato orario).
Risulta quindi subito chiaro come la condotta contestata non presentasse i requisiti minimi previsti dalla normativa in esame per giustificare l’adozione di un licenziamento disciplinare: per dirsi ingiustificata, l’assenza deve essere manifestazione di una volontà di non presentarsi al lavoro in carenza di una delle circostanze tipiche che legittimano tale comportamento (malattia, ferie, etc.). In quest’ottica, la mancata comunicazione della modifica unilaterale del piano ferie ha reso di per sé impossibile il compimento della condotta contestata, la quale presupponeva che la lavoratrice in questione fosse a conoscenza di tale modifica, e dunque del proprio obbligo di presentarsi sul luogo di lavoro. Non si può adempiere un obbligo del quale non si conosce l’esistenza, in estrema sintesi.
La sentenza in esame è una buona occasione per precisare che a conclusioni non dissimili si sarebbe pervenuti anche in regime di c.d. “tutele crescenti” (il nuovo sistema implementato nell’ambito del Job Act renziano), che limita la reintegra alla sola ipotesi della insussistenza del “fatto materiale”. Anche tale ultima locuzione è infatti idonea a ricomprendere la fattispecie esaminata, perché anche il “fatto materiale”, per essere sussistente, deve essere disciplinarmente rilevante: e la assenza per ferie, in assenza di una comunicazione della modifica unilaterale del piano ferie preventivamente concordato con il lavoratore, non lo è.
di Andrea Bonanni Caione
Managing Partner Pescara – LabLaw Studio Legale