Leggere che una parte politica abbia individuato nella abrogazione dei voucher lo strumento di reazione alle storture del mercato del lavoro desta non poca perplessità. Ancor più ove si noti come questa richiesta sia stata legata al permanere della fiducia in favore del ministro Poletti. Iniziative come questa confermano, se ancora ve ne fosse bisogno, come la politica sia distante anni luce dalla effettiva comprensione delle dinamiche del mercato del lavoro. E come tale distanza rischi di accrescersi di pari passo con quella che si sta creando tra aspettative e realtà in chi cerca, senza riuscire, una forma di occupazione stabile.
Il voucher è uno strumento che ha l’obiettivo di costituire un argine rispetto alle diffuse pratiche di lavoro nero che ancora la fanno da padrone all’interno del sistema italiano. Uno strumento che, insieme ad altri, deve avere la funzione di facilitare l’ingresso di grandi fette di lavoratori verso la cittadella dei diritti, il contratto di lavoro subordinato. Richiedere la sua eliminazione significa credere che, una volta venuta meno questa tappa intermedia, chi attualmente utilizza il voucher decida di utilizzare il contratto di lavoro subordinato. Niente di più errato.
Il voucher, per come attualmente strutturato sotto il profilo normativo, non può che rispondere ad esigenze di carattere saltuario e temporaneo, perché solo queste possono essere gestite rispettando i vincoli di carattere amministrativo introdotti dal governo Renzi. Immaginare che chi ha queste esigenze possa utilizzare un contratto di lavoro subordinato è del tutto utopico. La realtà che queste forme di rapporto tenderanno a tornare nell’area del non regolamentato, con buona pace di chi oggi si sbraccia cercando, ancora una volta, di acquisire vantaggi politici fondati su false tutele ed affermazioni di principio.
In realtà, chi volesse veramente indignarsi per qualcosa che abbia una minima utilità per la vita di chi oggi è senza lavoro, dovrebbe condizionare la fiducia al Ministro del Lavoro alla assunzione di un serio impegno sulla revisione del sistema delle politiche attive, rimasto orfano di regia e strumenti dopo il No referendario. La forza della agenzia nazionale che avrebbe dovuto gestire il mercato del lavoro riposava tutta sulla approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione che è stata sonoramente bocciata il 4 dicembre scorso. Con il risultato che oggi, a fonte di un mercato del lavoro molto più flessibile che in passato, non vi è alcun strumento di sicurezza sociale che assicuri la tenuta del sistema.
Si è affermato che con il Jobs act l’Italia sia finalmente entrata in un sistema di flexicurity: la realtà, la tragica realtà, è che mentre le regole della flessibilità sono pienamente operative, quelle della sicurezza sociale sono scritte sulla carta e riposano su fondamenta liquide ed equivoche. Ecco: se qualcuno cerca qualcosa per cui indignarsi sul serio, forse è meglio che smetta di puntare al dito (i voucher) ed inizi a guardare la luna (il mercato del lavoro).
di Avv.to Andrea Bonanni Caione,
Managing Partner LabLaw Studio Legale Failla Rotondi & Partners – Sede Pescara