L’autunno caldo di foodora. Potremmo ribattezzare così il recente periodo vissuto da questa giovane start up del cosiddetto food delivery, settore di servizi per la consegna di piatti dai ristoranti ai consumatori. La società è stata per settimane nell’occhio del ciclone mediatico, additata dai più come nuovo simbolo “digital” del moderno sfruttamento dei lavoratori. Al centro di potenti riflettori, che a volte accecano la ragione e la ragionevolezza, foodora ha suscitato forti reazioni di indignazione generalizzata: comici, commentatori, giornalisti, sindacalisti, politici, osservatori, blogger, hanno fatto a gara per sparare sul nuovo malcapitato di turno. Persino le istituzioni, con interrogazioni parlamentari, ispezioni ministeriali e ipotesi di riforme dello Statuto dei lavoratori ispirate dal caso foodora, si sono mosse in tempi flash per rimuovere -virtualmente- il nuovo presunto “vulnus” del lavoro degenerato. Insomma, un infernale girone dantesco in cui è finita questa giovane azienda digital, giudicata e condannata con un processo lampo e sommario dall’impietoso “tribunale” social-mediatico. Ma è davvero tutto questo foodora? Probabilmente no.
Cos’è foodora – Si tratta di una piattaforma online che fornisce ai ristornati partner un sevizio di e-commerce food, ossia la possibilità di consegna a domicilio o in ufficio di piatti pronti per il cliente finale. Una sorta di intermediario digitale tra ristoratori e clienti. La società opera in Italia da settembre 2015 con sedi a Milano e Torino, oltre che nelle città di Roma dall’autunno 2016 ed a Firenze, dove arriverà invece il 5 dicembre, contando complessivamente su oltre 1000 esercizi e ristoranti affiliati. Il servizio è garantito da una rete di collaboratori composta da quasi 800 rider, i nuovi fattorini in bicicletta o scooter, di cui 450 operanti a Milano, 250 a Torino, 50 a Roma e 30 a Firenze, mentre il team -con età media di 25 anni- è composto da 35 persone. L’azienda è stata fondata a Monaco nel 2014 ed è a oggi presente in 10 Paesi su scale globale.
L’intervista – Abbiamo intervistato i due Co – Managing Director di foodora Italia, Matteo Lentini (28 anni, a sinistra della foto) e Gianluca Cocco (29 anni, a destra della foto) per farci spiegare direttamente da loro cos’è foodora e perché la rappresentazione mediatica che ne è stata data in questi mesi “caldi” è fuorviante.
Iniziamo con la descrizione del modello di organizzazione del lavoro di foodora. Perché è iper-flessibile?
L’80% della nostra attività si concentra sostanzialmente in due picchi produttivi, che coincidono con il pranzo e con la cena; si tratta di fasce orarie di due-tre ore al massimo. Questa particolarità spiega le ragioni per le quali abbiamo bisogno di un modello di organizzazione del lavoro flessibile. La modalità concreta di esecuzione del lavoro si focalizza intorno ad una piattaforma online di incontro tra domanda e offerta di lavoro. In altre parole, esiste una piattaforma interna in cui i rider manifestano le loro disponibilità e decidono autonomamente quando voler collaborare, ma può accadere che uno di loro, seppur abbia confermato la propria disponibilità, in modo del tutto autonomo, non si presenti. Inoltre, va ricordato come ogni rider, durante il periodo della propria disponibilità, possa decidere -sempre autonomamente- se accettare di volta in volta la presa in carica di un ordine. In questi casi, allora, interviene un sistema che affida la consegna al secondo, e a scalare al terzo o al quarto rider disponibile e più vicino in termini di prossimità al ristorante da cui dovrà ritirare l’ordine, finché la domanda non incontra la disponibilità dei fattorini. Al verificarsi di queste circostanze, il rischio che ne deriva ricade interamente su foodora, la quale si fa carico di eventuali disagi del servizio e che, nel caso di un ritardo nella consegna, offre dei buoni al consumatore.
Si tratta, come si può vedere, di un modello di lavoro ampiamente autonomo e indipendente in cui sono i rider che scelgono quando dare la disponibilità e se accettare o meno un ordine con evidenti ripercussioni sulla qualità del sevizio. Si tratta di un’attività lavorativa autonoma che spesso è fatta per pagarsi gli studi, per arrotondare, per pagarsi necessità contingenti. Rispetto a questo modello autonomo di lavoro noi abbiamo scelto la modalità contrattuale più tutelante, ossia il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che prevede il pagamento della contribuzione pensionistica oltre ad altre voci contributive e che consente ai rider di scegliere in totale autonomia quando dare la disponibilità a lavorare.
Siete passati da un modello di remunerazione con contratto ad orario ad un contratto su compenso per ogni ordine. Perché questo passaggio e quali vantaggi presenterebbe il nuovo modello di remunerazione?
La ragione di fondo di questo passaggio ad un modello retributivo a consegna rispetto a quello precedente è certamente legato ad esigenze di efficientamento aziendale, ma con evidenti conseguenze migliorative anche per i lavoratori. Possiamo dimostrare come i compensi medi dei lavoratori siano aumentati del 20%. Questo perché nelle due fasce orarie “core” si fanno -in media- più di due consegne, riuscendo così a guadagnare anche più di 8 euro lordi, rispetto ai 5.6 euro lordi dello schema retributivo precedente. La stragrande maggioranza dei collaboratori ha accolto la novità retributiva con favore. Inoltre, durante il periodo di agitazione non abbiamo mai avuto l’interruzione del servizio. Va ricordato che da sempre versiamo, com’è ovvio, i contributi INPS e INAIL a copertura in caso di ricovero ospedaliero, maternità e infortuni sul lavoro, oltre alla contribuzione pensionistica. Abbiamo inoltre lasciato ai rider la facoltà di continuare a collaborare con noi tramite l’attuale contratto con retribuzione oraria fino a scadenza, oppure di passare e testare fin da subito i vantaggi del nuovo contratto con compenso per consegna. In aggiunta, l’azienda ha stipulato un’assicurazione integrativa per tutti gli eventuali danni a terzi durate lo svolgimento dell’attività e convenzioni per la manutenzione delle biciclette per l’intera flotta che prevede uno sconto del 50% sui prezzi di listino.
Nei vostri comunicati rimarcate una partecipazione bassa alle agitazioni di protesta delle scorse settimane. Per dirla chiaramente, c’è stata una forzatura mediatica? Alla fine quanti rider hanno partecipato alle proteste?
A partecipare allo stato di agitazione sono stati circa 30 rider, su un totale di 700. Nell’incontro del 2 novembre scorso, tenutosi a Torino tra il management ed i rider operanti con contratto di collaborazione che prevedeva un compenso di tipo orario, degli 85 invitati si sono presentati solo in 25. Rispetto ai reali numeri dei soggetti che hanno partecipato allo stato di agitazione e alle proteste, quello che più ci ha colpito è stato il veder riportare molte informazioni inesatte, o in alcuni casi, completamente non vere.
La vicenda foodora è addirittura finita in Parlamento non solo nel question time chiesto da un deputato, ma anche perché sembra aver ispirato alcune posizioni come quella – vi cita testualmente – del Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, che vorrebbe l’introduzione di un salario minimo, o meglio, di un equo compenso anche per i lavoratori autonomi, da inserire nello statuto del lavoro autonomo in discussione alla Camera. Che ne pensate? I compensi del lavoro autonomo non dovrebbero essere frutto della libera trattativa tra le parti come sostengono in molti?
Nel nostro incontro con il Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, che giudichiamo utile e positivo, abbiamo spiegato il nostro modello di business e il nostro modello di organizzazione del lavoro. Abbiamo parlato della crescita della On-Demand Economy sia in Italia che a livello europeo, ma soprattutto, delle specificità di questo modello che si basa su alcune esigenze precise: tra queste, un modello di organizzazione del lavoro flessibile e autonomo, fattori appunto indispensabili per il funzionamento della cosiddetta On-Demand Economy. Ossia, un nuovo settore produttivo che sta crescendo in molti paesi e che va compreso a fondo nella sua specificità, un modello economico in crescita e che in un periodo non facile crea sviluppo, occasioni di lavoro autonomo e opportunità di impresa.
Com’è andata a finire con gli ispettori mandati dal Ministro del Lavoro Poletti?
Abbiamo dimostrato la massima collaborazione nel fornire tutti i documenti che ci sono stati richiesti durante i giorni di pressione mediatica, che hanno dato poi seguito anche ad un’ispezione da parte del Ministero del Lavoro. Al momento non abbiano ancora ricevuto nessun riscontro ufficiale da parte degli ispettori, ma abbiamo avuto un incontro con il Presidente della Commissione Lavoro Cesare Damiano.