Omar ha quarantun anni, è nato e cresciuto a Cologno al Serio. Dato che non gli piaceva molto studiare dopo la scuola media ha iniziato subito a lavorare nei cantieri e poi dai 16 ai 21 anni, il sabato, ha frequentato la scuola Edile a Seriate, per diventare capo cantiere. Ho scoperto la sua storia poche settimane fa grazie ad Elena Catalfamo, un’amica giornalista che vedo poco, ma stimo molto. Mi stava raccontando del progetto de L’eco di Bergamo, che da più di un anno raccoglie nella rubrica Bergamo senza confini le storie della nuova emigrazione bergamasca e mi ha accennato di lui, Omar. Detto, fatto. Un contatto in Facebook e dopo pochi minuti ecco la risposta: appuntamento Skype già in serata.
Omar inizia raccontandomi che nel suo tempo libero si era da sempre impegnato nel volontariato: “A 13 anni facevo già dei lavoretti con dei ragazzi dell’Unitalsi, erano disabili psichici, poi AVIS, AIDO, ADMO, e poi Missiomundi.” E così quando lavorando ho avuto meno tempo ha iniziato a dedicare al volontariato anche le sue ferie. “Le due mete principali furono Bolivia e Costa d’Avorio”.
Ed è stato proprio in uno dei suoi mesi di volontariato in Costa d’Avorio che tutto è cambiato: Omar si è ammalato di malaria, e guarito ed è tornato dicendo a se stesso e a tutti: “mai più Africa!”. E così è stato per quattro anni fino a quando ha ricevuto una proposta inaspettata. “Una sera gli amici di Missiomundi mi hanno chiesto di occuparmi di un progetto della Ong MLFM, Movimento per la lotta alla fame nel mondo. Si trattava di costruire linee elettriche in Ruanda. L’idea mi è subito piaciuta e così ho accettato. Era un periodo in cui stavo sentendo che la vita non poteva essere solo un lavorare correndo. Per cosa? Per lo stipendio? Così la mattina dopo mi sono licenziato, non ho chiesto le ferie, non volevo partire con il pensiero di dover tornare a lavorare. L’idea era di andare lì e poi capire che fare: feci i vaccini necessari e partii. I primi tre mesi là mi fecero capire che era la scelta giusta da fare. Sono tornato in Italia solo per il tempo necessario a salutare la famiglia. Avevo detto -mai più Africa! – ed invece era arrivato il momento di tornarci e di rimanerci, ed eccomi qua, ormai, da sette anni”.
Mi racconta della preoccupazione della madre e degli amici al momento della scelta. “Mi ripetevano che era da folli lasciare un lavoro fisso con un buon stipendio. Ma ora l’hanno capito anche loro che per me non contava e non conta lo stipendio. Anche se sono un dipendente, qui in Ruanda, il mio lavoro non si misura ad ore, a soldi guadagnati, ma a beneficiari. Quante sono le persone che vivranno meglio grazie a quello che faccio? Questa è la vera domanda. Vedere che quello che fai salva delle vite vale molto di più che qualsiasi stipendio”.
Ora Omar segue anche progetti per la costruzione di acquedotti e di orfanotrofi, e così dopo avermi detto che hanno già realizzato 9 acquedotti e che i beneficiari ad oggi sono più di 200.000, mi accenna alle tabelle degli indici delle malattie connesse alla dissenteria, alla verminosi malaria. “È evidente che i casi diminuiscono drasticamente dopo la costruzione di acquedotti.” Mi elenca numeri e statistiche e poi aggiunge, “i numeri puoi non capirli e possono non interessarti, ma quando vedi con i tuoi occhi che le donne non dovranno più fare 5 km per arrivare all’acqua, ed i bambini non berranno più l’acqua delle pozzanghere dove passano i serpenti allora sì che quei numeri ti parlano. Ti parlano di un’urgenza di fare, di esserci, di cercare fondi e aiuti per nuovi progetti”.
Mentre mi parla noto la sua firma al fondo della mail: “Country Manager MLFM Rwanda”. Gli chiedo di darmi qualche dato sul personale coinvolto nella Ong. “Siamo arrivati ad avere fino a 1000 dipendenti stipendiati, tutti in progetti finanziati da UE, MAE e privati. In questo periodo relativamente calmo lavorano per noi circa 70 persone, con l’inizio del nuovo anno ed i progetti in partenza arriveremo ad avere circa 250 persone, di queste solo una fissa in ufficio, il resto è tutta manodopera più o meno specializzata nei cantieri/progetti. Oggi con me ci sono Andrea, un ingegnere civile, e Francesca, una biologa che esegue analisi delle acque. Entrambi stanno facendo qui il loro anno di Servizio Civile Internazionale”.
Sua madre Maria ora è davvero fiera di lui e quando può va a trovarlo anche per stare con i suoi nipoti. Sì, perché Omar in Ruanda si è costruito una famiglia. “Marie era una delle sopravvissute del genocidio contro i Tutzi. L’ho conosciuta che era vedova, con due figli. È stato amore a prima vista, ma con tutte le difficoltà del caso, prima di tutte la lingua. Le ferite di Marie erano e sono quelle di questo Paese, dilaniato da una terribile guerra civile. Ma insieme abbiamo creato una nuova famiglia. Così oggi i nostri figli sono cinque, sono la tabellina del tre: 3,6,9,12,15”. Mi spiega che i bambini parlano italiano e kenyarwanda e a scuola imparano l’inglese. Lui l’inglese l’ha dovuto studiare e sta continuando a perfezionarlo. Circa i figli aggiunge: “Non so cosa faranno da grandi, se vorranno andare in Europa. Non me lo sono mai chiesto se vorrei o no che venissero lì, certo è che quando sono in Italia vedo che i nostri bambini sono “differenti”, non hanno pretese, sono felici, semplicemente felici. E questa differenza è potente e determinante. L’Italia ed in generale l’Europa devono cambiare, devono recuperare il senso e la misura delle cose davvero importanti nella vita”.
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Mi racconta che torna in Italia almeno una volta all’anno soprattutto per raccogliere fondi per i nuovi progetti e formare volontari che poi lo raggiungono in Ruanda. Mi inoltra ancora documenti, foto ed il suo diario dei primi mesi in Ruanda. Leggendone alcune pagine in questi giorni ho ripensato a quel che mi aveva detto Omar sul suo libro preferito: “Ho sempre amato, – dice – E venne chiamata due cuori, dell’antropologa Marlon Morgan. Ma non c’entra nulla con il mio cambio vita quindi non citarlo”. Omar, l’ho riletto il libro della Morgan. E forse non è un caso che ti piacque tanto. Due cuori, gli stessi che hai tu: uno qui, ancora in Italia, ed uno lì, in Ruanda. Due mondi. E a te il compito di far dialogare e interagire positivamente i due cuori ed i due mondi così lontani eppure così interconnessi.
E come promesso ecco i ringraziamenti alle associazioni che già ti aiutano: C’entra la Solidarietà, Progetto Gamba, Missiomundi, Giuliano N’abana, Mondo Giusto, Amatafrica, Futuro Insieme e la Caritas Antoniana. Ed anche il tuo invito a tutti a partecipare, e ad impegnarsi concretamente “con noi, www.facebook.com/MLFM-Rwanda, o in qualsiasi buon progetto perché questo è cambiar vita davvero: fare qualcosa per qualcun altro, uscire dal proprio egoismo. E questo è urgente farlo anche li’ in Italia, non solo qui in Ruanda”.
di Samantha Marcelli