I servizi alla persona, ossia l’assistenza ai bambini, alle persone non autosufficienti e agli anziani sono la cenerentola delle nostre politiche di welfare. Molte sono le cause dei nostri ritardi. Tra questi, la crisi finanziaria dello stato sociale pubblico e l’aumento vertiginoso dei tassi di invecchiamento della popolazione italiana, tra i più alti d’Europa.
Le persone non autosufficienti passeranno dagli attuali 4,4 a 6,5 milioni nei prossimi anni. Abbiamo più anziani da accudire e meno soldi e risorse per farlo. Ad oggi la risposta al problema è stata di tipo “spontaneo”. In altre parole, le famiglie italiane si sono fatte carico di assistere i propri cari, soprattutto anziani, in modo privato e con scarse risorse statali. E’ il cosiddetto “welfare informale”. Le conseguenze negative di una risposta di tipo informale ai crescenti bisogni di assistenza sono molteplici: impoverimento dei bilanci familiari (667 euro di media al mese); ricorso al lavoro nero per pagare badanti, colf e baby sitter; scoraggiamento del lavoro femminile (650 mila donne rinunciano al lavoro per assistere i propri cari); evasione fiscale e contributiva; nessun controllo e certificazione sulla qualità dei servizi di assistenza offerti.
Un paese civile, com’è ovvio, non può tollerare che in un campo così importante dei nuovi bisogni sociali il peso della soluzione ricada prevalentemente sui bilanci familiari e sul welfare informale. Da alcuni anni, ormai, si sta pensando ad una soluzione nell’ambito del cosiddetto welfare mix. Un nuovo modello di welfare che prevede al fianco della sfera pubblica un ruolo di tipo integrativo della sfera privata, grazie ad una serie di incentivi. Le imprese rivestono un ruolo decisivo nel nuovo schema di stato sociale attraverso le loro iniziative di welfare aziendale. Un ruolo che si svilupperà soprattutto nella risposta ai nuovi bisogni sociali oggi largamente “trascurati” dallo Stato, come, appunto, i servizi alla persona. Una funzione “sociale” dell’impresa sostenuta con incentivi di carattere fiscale e contributivo.
La novità più importante, oggi, è nella Legge di Stabilità 2016 in discussione al Senato. Nell’articolo 12 della legge, in cui si parla di nuovo regime fiscale per i premi di produttività, è prevista l’introduzione del voucher nell’ambito dei piani di welfare aziendale, che permette ai dipendenti di pagare la badante, la baby sitter o l’asilo. Si tratta di un buono acquisto prepagato e totalmente esentasse fino ad un tetto di 2.000 euro (2.500 per le aziende che coinvolgono pariteticamente i dipendenti nell’organizzazione del lavoro).
Il modello a cui si ispira la Legge di Stabilità è il CESU francese. In Francia dal 2005 è stato introdotto un voucher universale per i servizi alla persona, fortemente sostenuto dallo Stato, che prevede nell’ambito del welfare aziendale una retribuzione “in natura” tramite il CESU, totalmente defiscalizzato fino alla soglia di 1.830 euro annui. I risultati ottenuti con questo strumento sono stati notevoli. Al 2014 ne hanno beneficiato 8 milioni di famiglie per un valore di 806 milioni di euro, oltre 2 milioni gli addetti con più di 100 mila nuovi posti di lavoro e una costante emersione del lavoro nero con evidenti ritorni per le casse dello Stato.
Il caso del CESU francese dimostra che questa è una soluzione win win! Conviene allo Stato perché attiva la leva del finanziamento privato per rispondere ai nuovi bisogni sociali dei cittadini e dei lavoratori con ritorni sia economici sia civili; alle imprese perché ottimizzano i costi, aumentano la produttività e creano un clima positivo; ai lavoratori perché aumentano il loro potere d’acquisto in un contesto di limitazioni salariali.
Nella Legge di Stabilità 2016 è davvero in gioco una rivoluzione, che ci auguriamo sia colta in tutte le sue potenzialità.