Le molteplici valenze dell’essere produttivi: un diktat imposto dalla società che spesso corre il rischio di diventare fonte di stress insostenibile, oppure una prova del fatto che la vita continua oltre il disagio mentale. Il racconto di Progetto Itaca Onlus e dei suoi protagonisti.
La testimonianza: un’esperienza di vita – “Un po’ di tempo fa, prima di Pasqua, avevo un colloquio in una ditta vicino casa mia che cercava un fattorino, per sostituire un altro invalido che si doveva congedare per motivi di salute. Poi per lungo tempo non seppi più nulla di quel posto lavoro: sparito… un mese fa si sono rifatti vivi. lavoro per tre giorni alla settimana per due ore circa. Io, due anni fa, facevo il tecnico elettronico. Lavoravo quattro ore al giorno, ma è un lavoro che mi ha fatto venire tanta depressione. Lo stare rinchiusi nella ditta, dove non si vedeva né cielo, né sole, né alberi. Adesso faccio un lavoro più semplice e sono allegro e felice di muovermi all’aria aperta per uffici, banche, posta e parlando con gente.” C. T.
Il burn-out e lo stress da lavoro correlato: il parere del Dott. Costanzo Gala, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano. – Il lavoro dovrebbe essere l’ambito nel quale l’uomo esprime le proprie capacità e potenzialità, in cui costruisce relazioni sociali e in cui sperimenta le sue risorse di adattamento. Pertanto è l’esperienza di vita nella quale in modo privilegiato possono essere soddisfatti i fondamentali bisogni dell’essere umano: la sicurezza, l’appropriatezza, la stima e l’autorealizzazione. La frustrazione di questi bisogni diventa il fattore di rischio per la comparsa dello stress lavoro correlato che è stato definito come “un insieme di reazioni emotive e fisiche dannose che si manifesta quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alla capacità, risorse o esigenze del lavoratore”. Pertanto l’ambito lavorativo da esperienza di benessere può trasformarsi in fattore di rischio per lo sviluppo di malessere, stati di stress e malattie psichiche. Inoltre per i soggetti già portatori di una fragilità psichica o di un disturbo mentale il lavoro può essere un fattore che aumenta il rischio di aggravamento e recidive.
Quali le conseguenze sulla salute? Uno stato di stress prolungato può esaurire le risorse di adattamento e dare luogo a problemi di salute mentale quali insonnia, stati di ansia e depressione, ma anche a gravi problemi di salute fisica quali le malattie cardiovascolari o i disturbi muscolo scheletrici.
Qual è l’entità del fenomeno? Da una recentissima indagine effettuata dall’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro è emerso che circa il 22% dei lavoratori europei ha riportato esperienze di stress e burn-out nel luogo di lavoro. Il 43% del totale dei giorni di malattia dei lavoratori europei è causato da disturbi di ansia e depressione e la media di assenteismo è di 23 giorni all’anno, lo stress determina anche un aumento del tasso di incidenti e infortuni. Le donne presentano un rischio maggiore di sviluppare stati di stress lavoro correlati. L’età più colpita è quella compresa tra i 45 e 54 anni . Il fenomeno è più ampio nelle organizzazioni con un grande numero di lavoratori. Il settore più colpito è quello sanitario (soprattutto infermieri); seguono la scuola, la pubblica amministrazione e la difesa.
Quali i più importanti fattori stressanti:
– riduzioni delle risorse e aumento dei carichi di lavoro, precarietà e insicurezza del posto di lavoro;
– cambiamenti organizzativi, mansioni e ruoli poco chiari;
– poco coinvolgimento e problemi di relazione interpersonale con i superiori;
– mobbing e malattie psicologiche e sessuali.
Cosa fare? Siamo ormai pienamente entrati in una “brain-based economy”. Pertanto la salute psichica è un bene fondamentale non solo per l’individuo ma anche per l’intera società. Gli effetti economici dello stress lavoro correlato è stato valutato in miliardi di euro. Ad oggi, come molte altre questioni riguardanti la salute mentale, lo stress lavorativo viene stigmatizzato e dà luogo a discriminazioni, per esempio determina il problema del “presentismo”: molti lavoratori pur di non rivelare di essere depressi continuano a recarsi sul luogo di lavoro. Tuttavia se venisse considerato anche un problema organizzativo anziché una colpa ed unicamente una fragilità individuale potrebbe essere gestito come tutti gli altri fattori di rischio per la salute e la sicurezza sul luogo del lavoro.
Progetto Itaca e Accenture: trasformare il disagio psichico in risorsa – Secondo recenti stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione entro il 2020 diverrà la malattia più diffusa nel mondo sviluppato, nonché la seconda causa di disabilità, che andrà a colpire un quinto delle persone impiegate nel mondo industrializzato. Solo in Italia si stima che il 19,8% della popolazione soffra almeno una volta nel corso della vita di disagi psichici che vanno dalla depressione persistente o ricorrente, all’affezione psicotica permanente. Il pericolo derivante dallo stress lavoro correlato è talmente notevole che l’OMS ha editato delle vere e proprie linee guida in materia, avendo notato che troppo spesso si notano delle carenze nel trattamento di questo problema a livello medico-scientifico e prestando crescente attenzione a fenomeni da poco identificati, quali ad esempio il mobbing.
Si tende a tutelare il lavoratore a dovere da possibili incidenti fisici dovuti alle mansioni svolte, ma troppo poco si pensa all’impatto che esso può avere su un organo così delicato e fondamentale come il cervello umano. L’ambiente di lavoro può costituire infatti il crogiolo in cui diversi fattori di malessere vengono a potenziarsi e ad acutizzarsi. È interessante sottolineare come nei Paesi in via di sviluppo le prognosi legate alla disabilità psichica siano decisamente migliori. Questo è dovuto a molteplici fattori: la presenza di famiglie allargate; la produzione di reddito condivisa, che riduce le pressioni sul singolo individuo; l’economia di produzione non specializzata, che evita l’insorgere dell’”effetto catena di montaggio” o dell’”effetto iper-specializzazione”.
Quello che occorre, quindi, è un coinvolgimento intellettuale dell’azienda che porti alla diffusione di una nuova cultura d’impresa in materia di lavoro, tempi, ritmi, task e mansioni. Per questo Progetto Itaca Onlus e Fondazione Italiana Accenture hanno individuato sette buoni principi per una migliore gestione del disagio psichico in azienda:
1. Il disagio psichico e il lavoro: il lavoro non rappresenta solo uno dei possibili fattori scatenanti il disagio, ma può al contempo costituirne una terapia; l’ambiente lavorativo può esercitare un effetto di tutela contro il malessere.
2. Le variabili culturali e l’orientamento alla salvaguardia: solo l’impresa correttamente orientata verso il disagio psichico potrà mettere a disposizione della persona tutti i possibili strumenti per prevenire stress e disturbi della psiche.
3. L’impresa, il disagio, la Responsabilità Sociale: nell’ambito delle Risorse umane, è necessario non cercare più la persona giusta per il lavoro giusto, ma il lavoro giusto per la persona così com’è, per poter così garantire alle persone la possibilità di esprimersi al meglio.
4. Una nuova cultura del lavoro: il tempo, il ritmo, la chiarezza e la continuità delle mansioni, insieme all’attribuzione di differenti task, sono i fattori chiave di una nuova cultura del lavoro che deve trovare spazio nella filosofia organizzativa dell’azienda.
5. Una nuova cultura d’impresa a tutela del disagio: la conoscenza dei processi mentali legati al disagio è uno skill specifico che deve essere oggetto di formazione in azienda. E’ necessaria la creazione di un percorso di iniziative concrete per sensibilizzare, integrare e costruire un approccio e una progettazione per la prevenzione e l’inserimento della disabilità psichica all’interno delle aziende. Iniziative che chiedono il coinvolgimento e la leadership da parte dell’Alta Direzione.
6. Vale la pena: la gestione e l’inserimento di una persona con disagio psichico porta un arricchimento, materiale e immateriale, per l’azienda.
7. Un programma per l’immediato: riconoscere la portata del problema, comprendere la natura e le differenze dei disturbi psichici, sensibilizzare e formare lavoratori e manager, superare i pregiudizi, agevolare i contatti sociali e l’interazione in azienda, gratificare il lavoratore e garantirgli stabilità, favorire un corretto work life balance, ridurre la pressione competitiva, nella convinzione che adottare un comportamento etico e responsabile porti benefici diffusi, devono essere delle priorità.
Job Stations: il reinserimento della persona con disabilità nel mondo del lavoro – L’ambiente di lavoro può essere fonte di disagio, ma può avere una valenza terapeutica e di tutela contro il malessere: da questa convinzione nasce Job Stations, progetto di inclusione lavorativa realizzato da Progetto Itaca Onlus. Esso risponde innanzitutto alla resistenza delle aziende ad assumere persone affette da disturbi psichici: la legislazione del lavoro attribuisce all’impresa l’onere di assorbire una quota del disagio sociale, ma gli inserimenti di chi manifesta un disturbo psichico sono una netta minoranza. Troppo spesso si pensa a queste persone come a individui violenti, incontrollabili, pericolosi per i colleghi e poco produttivi. Addirittura, molte aziende preferiscono pagare salatissime multe, piuttosto che adempiere gli obblighi di inserimento nei confronti delle categorie protette.
Quello che Progetto Itaca Onlus si propone, allora, è di far capire all’azienda che l’inserimento di un lavoratore con disabilità psichica è di fatto un arricchimento per l’azienda: perché la diversità è da sempre fonte di qualità, sia del clima lavorativo che del prodotto. Sono innumerevoli i vantaggi economici dell’essere in regola con le legislazioni del lavoro, così come i benefici in termini di immagine e comunicazione. Per non parlare poi del fatto che le imprese più aperte sotto questo punto di vista avranno il merito di affrontare con anticipo e farsi trovare preparate a un problema che, in un futuro non molto lontano, tutte le aziende si troveranno a dover gestire.
Job Stations è un centro di telelavoro assistito per lavoratori con invalidità psichica, nato grazie alla collaborazione di Progetto Itaca Onlus con Fondazione Italiana Accenture, attraverso un bando veicolato attraverso la piattaforma partecipativa 2.0 www.ideaTRE60.it. Il concorso di idee, denominato “Give Mind a Chance!”, è stato vinto dal progetto, presentato da Monica Anna Perego, selezionato tra 158 proposte pervenute. Job Stations è stato così pensato dalla sua creatrice come rivolto a persone con disagio psichico maggiore (interessate quindi da psicosi, depressioni importanti e disturbi della personalità) e indicato per aziende medie o grandi, che utilizzano anche soluzioni di cloud computing per lo storage dati o per applicazioni gestionali ospitate su server remoti, quindi accessibili da qualunque luogo connesso alla rete. Fondazione Accenture ha impegnato un budget di 100.000 euro per la realizzazione pratica del progetto, un’idea vincente che continua a vivere in Progetto Itaca Onlus e che vuole essere replicata nel maggior numero di città italiane.
L’idea del concorso è nata dalla constatazione che il potenziale dei disabili psichici a livello lavorativo rimane spesso non sfruttato e non riconosciuto, lasciando la maggior parte di loro a vivere nella dipendenza e nell’esclusione sociale. I disabili occupati in Italia sono infatti meno del 18%, quelli con difficoltà psichiche solo l’1,5%; per l’85% dei disabili la pensione costituisce la principale fonte di reddito, ma ad oggi oltre 750 mila persone disabili sono iscritte alle liste di collocamento. Con la recessione economica, tuttavia, le aziende possono chiedere la sospensione dagli obblighi di assunzione previsti dalla legge 68/99 e così il 25% dei posti riservati rimane scoperto. L’Organizzazione internazionale del lavoro stima che questa situazione costa tra l’1 e il 7% del PIL.
Il centro è riservato a lavoratori iscritti alle categorie protette con invalidità di origine psichica; è a disposizione delle aziende, le quali assumono il telelavoratore e lo computano nella quota d’obbligo ex lege 68/99, inviano il telelavoratore presso Job Stations e possono godere degli incentivi e delle facilitazioni previste dalla normativa. È gestito da tutor lavorativi esperti, che segnalano la risorsa e si formano sulla mansione del telelavoratore, lo addestrano e assicurano all’azienda la qualità e il volume del lavoro svolto. Le professioni più adatte a lavoratori con invalidità psichica sono routinarie, con bassa discrezionalità, riconducibili a procedure chiare e abbastanza rigide, che possono essere gestite in modalità a distanza: archivista, data miner, data entry, database manager, impiegato amministrativo o contabile, addetto ai servizi IT. Tante sono le aziende che hanno scelto di aderire al progetto Job Stations: Accenture, BCG – Boston Consulting Group, AON, Istituto Clinico Humanitas, Fondazione Cariplo, Swan Group, ImsHealth, UniCredit, Avanade, Manpower. Tali aziende partner hanno portato, dalla nascita di Job Stations a Milano dal 2012 ad oggi, a 25 contratti di lavoro Nel 2014, il progetto è partito anche nella sede di Roma di Progetto Itaca e nel 2015 presso la Fondazione Bertini Malgarini.
Progetto Itaca Onlus è un’Associazione di volontari impegnata nel campo della Salute Mentale, nata a Milano nel 1999 con l’intento di attivare progetti di informazione/sensibilizzazione, riabilitazione ed inserimento lavorativo delle persone affette da disturbi mentali, garantire sostegno alle loro famiglie, e realizzare interventi di prevenzione rivolti alla popolazione, in particolare ai giovani. Oggi è una realtà nazionale grazie all’apertura di sedi ad Asti, Roma, Firenze, Palermo, Genova, Parma e Napoli. www.progettoitaca.org– Un ascolto sempre in linea 800 274 274.