Il Jobs Act con il decreto legislativo 81/2015 – che disciplina e riordina i contratti di lavoro – è destinato a modificare il modus operandi delle Agenzie per il Lavoro e la vita in azienda del lavoratore in somministrazione.
Prima però di entrare nel merito della norma, faccio una valutazione più complessiva: la Riforma del Governo Renzi ha avuto il merito di semplificare la giungla contrattuale del nostro mercato occupazionale, individuando nel lavoro stabile la sua forma privilegiata. Sembra inoltre che l’impatto del Jobs Act sull’occupazione sia stato positivo, ma – complice gli sgravi fiscali di cui beneficiano le imprese in questa fase di “start up” della norma – occorrerà più tempo per comprendere la reale efficacia della legge.
Devo però segnalare come le Agenzie per il Lavoro, nei mesi preparatori alla scrittura e approvazione della riforma, siano rimaste ai margini dei tavoli di confronto con le istituzioni mentre una più proficua collaborazione con noi avrebbe permesso di raggiungere risultati normativi più apprezzabili. Mi permetto di citare qui le parole del giuslavorista, Michele Tiraboschi, che ha sottolineato come “dall’impianto del decreto fatica a emergere l’idea della somministrazione quale leva della costruzione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro […], rimanendo piuttosto ancorata a una vecchia prospettiva di mero impiego flessibile della forza-lavoro” . Purtroppo è così. Non si riconosce il ruolo delle ApL nel mercato occupazione che è invece fondamentale proprio perché favorisce l’incontro tra domanda e offerta e promuove la flessibilità positiva.
Il D.lgs 81/2015 (Capo IV articoli dal 30 al 40) introduce, comunque, alcuni provvedimenti che interessano il contratto di somministrazione. In primo luogo il Jobs Act dispone la soppressione totale delle causali, “liberalizzando” il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) utilizzabile quindi, al pari della somministrazione a termine, per lo svolgimento di qualsiasi attività, senza alcuna specificazione dei motivi per i quali si ricorre a tal forma contrattuale.
Sempre in merito alla somministrazione, la Riforma Renzi fissa un tetto di utilizzo massimo di lavoratori, pari al 20%, in rapporto ai tempi indeterminati presenti nell’azienda utilizzatrice al 1° gennaio dell’anno di stipula del contratto. La grande novità rispetto alla legge Biagi, come sottolinea ancora una volta l’avvocato Tiraboschi, è che “possono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato” . Novità già anticipata dalle Agenzie per il Lavoro stesse che con il rinnovo del proprio ccnl avvenuto in data 7 aprile 2014, introducevano tale obbligatorietà.
La somministrazione a tempo determinato, invece, ha limitazioni numeriche indicate direttamente nel contratto collettivo applicato dall’utilizzatore. Occorre una precisazione: la contrattazione collettiva a cui si riferisce il legislatore non è più solo quella nazionale, ma comprende anche i contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali. Rispetto alla prima stesura del testo di legge presentato in Consiglio dei Ministri lo scorso febbraio, il decreto in vigore oggi non prevede più che l’azienda – che fa ricorso a lavoratori in somministrazione – sia obbligata a comunicare preventivamente alle associazioni sindacali il numero dei lavoratori e i motivi del ricorso alla somministrazione, resta comunque l’obbligo di comunicazione annuale.
Una volta di più, è bene ricordare che il Jobs Act conferma parità di trattamento, economico e normativo, per i lavoratori in somministrazione rispetto ai lavoratori assunti dall’azienda. Infatti, chi lavora attraverso le Agenzie per il Lavoro ha diritto a usufruire di tutti i servizi sociali ed assistenziali goduti dagli altri dipendenti, gode dei diritti sindacali previsti dallo Statuto dei Lavoratori e deve essere informato dei posti vacanti presenti in azienda. Altra novità considerevole è la possibilità, per l’azienda che ricorre a personale in somministrazione, di computare nella quota di riserva stabilita dalla Legge 68/99 i lavoratori diversamente abili con almeno 12 mesi di lavori in somministrazione alle spalle.
Il Jobs Act stabilisce anche i casi in cui non è possibile stipulare un contratto di somministrazione: per la sostituzione di lavoratori assenti per sciopero, nelle unità produttive nelle quali nei sei mesi precedenti sono stati effettuati licenziamenti collettivi, o nelle quali è in corso una sospensione o una riduzione della prestazione lavorativa per cassa integrazione – in queste ultime due casistiche, pur con alcune eccezioni – e nelle aziende che non hanno effettuato la valutazione rischi.
La portata delle novità contenute nella Riforma del Lavoro è particolarmente rilevante e destinata ad avere un impatto considerevole sul lavoro in somministrazione. Per questo le Agenzie per il Lavoro associate di Assosomm (l’associazione di categoria che presiedo) in collaborazione con l’associazione Adapt, che si occupa proprio di promuovere attività di studi e ricerca relativi al mondo del lavoro, hanno organizzato un convegno – in programma venerdì 10 luglio all’Università di Bergamo – dal titolo “Il ruolo delle agenzie per il lavoro dopo il Jobs Act” per approfondire con l’aiuto di esperti giuslavoristi tali tematiche.
A cura di Rosario Rasizza, Amministratore Delegato Openjobmetis