“Mia nonna era una piccola sarta e io sono cresciuto in mezzo ai tessuti e ai suoi abiti sparsi per la casa”. Antonio Iavazzo è un sarto dello spettacolo. Dopo un corso per Sarti Teatrali dell’Accademia della Scala di Milano (corso nato nel 1997 che da ben 12 edizioni registra una percentuale del 100% d’inserimento nel mondo del lavoro) e dopo un’esperienza di tirocinio presso Tirelli Costumi a Roma e presso la sartoria del Teatro alla Scala, è approdato al Teatro Sociale di Como, al Teatro dell’Opera di Roma, quindi all’Arena di Verona come responsabile del Reparto Sartoria. “Pensavo che fosse solo un divertimento la sartoria – ammette Antonio a qualche anno di distanza -. Non avrei mai immaginato che sarebbe diventato il mio lavoro. Ripensandoci, sono riuscito a realizzare il mio più grande sogno”.
Dietro le quinte – Il mondo della sartoria si divide tra i laboratori e il palcoscenico. Qui si organizzano i cambi d’abito, si allestiscono i camerini e ci si occupa della manutenzione dei costumi: “Come caporeparto della parte tecnica – racconta Antonio – mi sono trovato a gestire le squadre di sarte del palcoscenico, ma ho avuto anche la fortuna di lavorare nei laboratori. Il mio sogno, infatti, è quello di diventare un bravo tagliatore. A lui, nel laboratorio, spetta il compito d’individuare il taglio più opportuno per un abito: studia il bozzetto del costumista e interagisce con lui per creare il modello”.
Il tagliatore poi deve creare il cartamodello, sulle misure dell’artista; deve realizzare il prototipo su tela e poi consegnare il lavoro alla sua squadra di sarte. Nei grandi teatri ci sono poi diversi sotto-reparti: sarte esperte nella realizzazione di gilet, camicie e anche le cosiddette ‘pantalonaie’, le sarte esperte nel taglio e cucito dei pantaloni.
Il frutti del duro lavoro – “Quando sono stato a lavorare all’Arena di Verona ho realizzato alcuni costumi per Romeo e Giulietta. Mi sono occupato in particolare di un bozzetto per un bustino di Giulietta: secondo quanto deciso da costumista e regista il bustino doveva essere in ferro. Io allora ho iniziato a fare diverse ricerche partendo da alcune immagini sbiadite risalenti al periodo rinascimentale. Ho ipotizzato un prototipo ricamato in ferro che poi hanno dovuto realizzare dei fabbri. Quando, alla prova generale, l’ho visto indossato da Giulietta, devo ammettere, che mi è venuta la pelle d’oca”.
L’Abc della sartoria – “Non è un corso in cui ci si può permettere d’iniziare senza una buona conoscenza del settore: anche se non avevo mai preso lezioni di taglio e cucino, comunque, da autodidatta ero già ad un buon livello – mi spiega Antonio che per frequentare la scuola si è trasferito, dopo una laurea in beni culturali, da Napoli a Milano -. Dipende tutto dalla voglia che ognuno ha d’imparare: una scuola come l’Accademia del Teatro alla Scala ti permette d’imparare dal taglio storico alle tecniche di sartoria moderna. I costumisti delle grandi compagnie, infatti, vogliono ancora che siano messi in scena abiti storici per cui è necessario essere abili con lo studio del bozzetto e dei modelli più antichi. Poi può capitare anche che dopo l’Accademia ci si possa affacciare anche alla moda, perché no? In fondo abbiamo imparato a confezionare anche gli abiti moderni”.
Spesso vanno in scena dei costumi che potremmo definire ‘ibridi’, a metà strada cioè tra quelli storici e quelli moderni: “Non possiamo realizzare per una cantante lirica un bustino d’epoca con stecche di balena. Bisogna, ogni volta, ripensare all’abito con sottostrutture più leggere e più portabili, o anche con tagli che permettano i movimenti sul palco”.
Umiltà e impegno – “Da quando ho finito la scuola ho attraversato l’Italia dall’alto al basso: ho accettato qualsiasi lavoro dal più banale a quello più gratificante – dice Antonio -. All’inizio devi avere l’umiltà di raccogliere gli spilli: io, per esempio, nei primi lavori mi occupavo della lavanderia, in pratica lavavo i calzini degli attori”. I sarti dello spettacolo italiani, specialmente chi come Antonio ha frequentato un’accademia importante, sono molto richiesti all’estero: “Io però sogno di poter lavorare in Italia, magari un giorno addirittura alla Scala. E’ vero non ci sono più le maestranza di una volta, ma chi è competente ed è professionale, riesce comunque a intraprendere una lunga e importante carriera”.
Ho provato a intervistare Antonio diverse volte, ma era molto difficile riuscire a interromperlo dal suo lavoro: prove degli abiti, cambi improvvisi da apportare, e ancora prove generali e riunioni in laboratorio. Insomma, il lavoro dietro le quinte non fila ‘come da copione’ come accade sul palcoscenico: “L’apertura del sipario è un momento magico. Poi può succedere di tutto: i cambi veloci, il coro che esce da una quinta e deve rientrare poco dopo dal lato opposto con abiti completamente diversi; poi ci sono gli artisti in panico, che non riescono più a vestirsi, o ancora quelli che nella fretta strappano l’abito proprio un secondo prima di entrare in scena. Bisogna essere tranquilli e saper mantenere la calma in ogni situazione”.
Il corso dell’Accademia di sartoria della Scala di Milano Articolato nell’arco di mille ore, attraverso lezioni d’aula, esercitazioni pratiche e stage (in Italia e all’estero), il corso prepara professionisti in grado di curare tutto il processo di realizzazione dei costumi di scena, dalla fase di preparazione e confezione a quella di manutenzione e conservazione e consente loro di acquisire competenze specifiche della sartoria dello spettacolo. Gli sbocchi che la professione oggi offre sono molteplici: teatro di prosa e d’opera, cinema, televisione e compagnie di giro. Tra gli altri si studiano tecniche di taglio e di confezione teatrale (maschile e femminile), tecniche per la decorazione del costume (dalle tecniche di trattamento del tessuto ai metodi di tintura alle tecniche di ricamo), elementi di sartoria televisiva e cinematografica e storia del costume teatrale.